La ministra Azzolina assicura che il 14 settembre la campanella suonerà. Resta da capire se quel suono avrà il sapore di una vera ripartenza, preludio di un inizio di anno scolastico al momento molto complicato. Le rassicurazioni di viale Trastevere non rincuorano studenti, insegnanti, operatori e famiglie. E non soddisfano nemmeno i sindacati. "Noi vogliamo che si ritorni a scuola non vogliamo soluzioni diverse. Abbiamo bisogno di un decreto legge sulla scuola. Il governo deve dire con chiarezza che bisogna riaprire la scuola in presenza", ha sottolineato nei giorni scorsi Francesco Sinopoli, segretario confederale della Flc Cgil. La richiesta al governo è di fare di più e più in fretta.

Linea sposata da Maurizio Landini che nell’intervista di ieri, 23 luglio, alla Stampa ha ribadito che l’impegno sindacale è “di riaprire tutti il 14 settembre”. Ma, aggiunge, “non bisogna pensare che i problemi siano arrivati con il Covid. Nella scuola come in altri campi i problemi c'erano già prima. Il virus li ha fatti emergere di più. La nostra scuola va riformata profondamente”. Il segretario della Cgil però guarda più avanti e lancia la proposta dell'obbligo scolastico dai 3 ai 18 anni: “L'uscita dall'emergenza è un'occasione irripetibile per riformare il sistema scolastico. Dobbiamo sfruttarla. Non è sopportabile che tanti ragazzi italiani laureati vadano all'estero. La loro emigrazione è superiore all'immigrazione degli extracomunitari che tanto spaventa i sovranisti”.

Anche l'associazione nazionale presidi chiede chiarezza. Per il presidente Antonello Giannelli, "è indispensabile e urgente che sia messo a disposizione delle scuole un documento snello e prescrittivo sugli aspetti meramente sanitari da adottare rigidamente e ovunque. La stesura e la sottoscrizione del protocollo di sicurezza non possono tollerare ulteriori ritardi: occorre fare in modo che i dirigenti scolastici siano nelle condizioni di garantire ad alunni e famiglie che il primo settembre la scuola riprenda in sicurezza, senza attribuzioni di responsabilità indebite".

Riapertura o no, la scuola italiana deve fare i conti con un nuovo allarme emerso da uno studio dell'Istat sul livello d’istruzione del nostro Paese. L’Italia è in zona retrocessione in questa speciale classifica europea. Il 62,2% delle persone tra i 25 e i 64 anni ha almeno il diploma, nell'Ue a 28 il 78,7%, dato che in alcuni tra i più grandi paesi dell'Unione sale ancora: 86,6% in Germania, 80,4% in Francia e 81,1% nel Regno Unito. Gli italiani, quindi, sono tra gli ultimi in Europa per livello di istruzione. Solo Spagna, Malta e Portogallo hanno valori inferiori all'Italia.

Ma le cattive notizie non finiscono qui. Nonostante i livelli di istruzione delle donne siano più elevati, il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (56,1% contro 76,8%) evidenziando un divario di genere più marcato rispetto alla media Ue e agli altri grandi Paesi europei. Lo rileva l’Istat che segnala come lo svantaggio delle donne si riduce tuttavia all’aumentare del livello di istruzione: il differenziale, che tra coloro che hanno un titolo secondario inferiore è pari a 31,7 punti, scende a 20,2 punti tra i diplomati e raggiunge gli 8,2 punti tra i laureati.

Capitolo Sud, con luci e ombre. Nel Mezzogiorno l’istruzione è scarsa ma premia sempre. La popolazione residente nel Meridione è meno istruita rispetto a quella nel Centro-nord: poco più della metà degli adulti ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore e nemmeno uno su sei ha raggiunto un titolo terziario (al Centro oltre i due terzi è almeno diplomato e quasi uno su quattro ha conseguito la laurea). Le differenze territoriali nei livelli di istruzione permangono, indipendentemente dal genere.