Compio un esercizio non facile, provo a mettere ordine nei pensieri dopo l’aggressione di Hamas di sabato 7 ottobre. Si è trattato di un’azione di guerra conclusasi con diversi massacri di civili, alcuni con indicibile ferocia, l’orrore che suscita non ha attenuante alcuna. È stato violato per diverse ore il territorio storico di Israele, cosa mai accaduta prima, neppure nella guerra del Kippur, perché allora, era il 1973, l’Egitto invase il Sinai, allora occupato dalle forze israeliane dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967.

Da questo deriva il parallelo con un 11 settembre israeliano perché, come detto, mai prima di allora – se si eccettuano le fasi iniziali della guerra del 1948 – il suolo israeliano era stato violato da forze palestinesi o comunque straniere. Ed è da questa violazione, impensata e impensabile, che discende lo shock collettivo che ha investito il popolo israeliano prima ancora di sapere dei massacri.

Esercito e intelligence sono i due assi costitutivi del sentire collettivo israeliano, dopo vengono le divisioni (laici/religiosi; destra/sinistra; ortodossi/liberali). È per questa ragione che l’azione di guerra di una settimana fa ha, anche, distrutto la credibilità di entrambe ed è questo un successo strategico che nessuna reazione, per quanto rabbiosa e tragicamente devastante, potrà mai rimarginare se non nel lungo periodo.

La tanto preannunciata invasione di Gaza via terra, le colonne di tanks già immortalate in televisione, appena cominciata, è e sarà sicuramente un bagno di sangue anche oltre l’attuale massacro dovuto all’aviazione. Ciò nonostante, Hamas continua a lanciare razzi su Ashkelon e Tel Aviv, a dimostrazione che almeno metà del territorio israeliano è raggiungibile. E questo senza contare le punture di spillo dal Libano.

È evidente, allora, che siamo di fronte a una situazione senza via d’uscita se si continua da parte degli attori, governo israeliano e Hamas, mentre l’Anp si è resa del tutto irrilevante e lo dimostra ogni giorno, a perseverare nei loro rispettivi modi d’azione (attentato o azione militare/repressione sproporzionata, e via così all’infinito). Gli attori esterni – Usa, Ue, Nato, Paesi europei, Onu – invece replicano risposte banali e inutili: “Israele ha diritto di difendersi”, “due popoli per due Stati”, ma non fanno nulla per impedire la spirale.

Servirebbe, servirebbe ma non c’è, una svolta, come fu per il percorso che portò agli accordi di Oslo (trenta anni fa!), la consapevolezza che ogni violenza da ogni parte non porta a nulla, che solo una faticosissima trattativa di pace può impedire il perpetuarsi di una scia sempre più grossa di sangue. Serve un immediato cessate il fuoco con contestuale rilascio di tutti gli ostaggi, con (meglio) o senza scambio di prigionieri.

Contemporaneamente occorre un’immediata convocazione da parte dell’Onu di una conferenza di pace che parta dalle risoluzioni storicamente approvate in quella sede, per approdare entro tempi definiti a un assetto di pace definitivo, o con due entità statali riconosciute oppure a uno stato binazionale sul modello sudafricano, con presenza di forze internazionali di pace per un periodo da definire.

So che sembra utopia, ma non vedo strade migliori.