Se oggi i ragazzi e ragazze gay possono girare mano nella mano e nel dibattito pubblico i giovani eterosessuali invitano la politica a fare leggi a favore delle comunità lgbti non è un caso e tutto viene da lontano. Ci sono persone che per il proprio impegno civico diventano icone ancora in vita, Franco Grillini è sicuramente una tra queste e a lui tutti, gay o meno, dobbiamo molto. Nell’anno 1985, insieme ad altri compagni, fonda l’Associazione Lgbti italiana chiamata Arci Gay, di cui dal 1987 al 1998 è stato presidente nazionale e ora è presidente onorario. “Let’s Kiss - Franco Grillini. Storia di una rivoluzione gentile” è il documentario incentrato sulla sua vita, diretto da Filippo Vendemmiati, sceneggiato da Donata Zanotti con le musiche di Paolo Fresu. Raccontando la vita di Grillini inevitabilmente si racconta anche la storia politica italiana e delle lotte, ancora attuali, da parte della comunità Lgbti per ottenere l'uguaglianza senza essere ignorati.

Come sta andando il film? Sei contento di aver vinto il nastro d’argento?
Io e il regista Filippo Vendemmiati siamo molto contenti: il Nastro d’Argento è un grandissimo riconoscimento. Sono seguiti altri premi come quello di Berlino all’Italian film festival e che il film girasse anche all’estero era un'ipotesi tutta da verificare. Dopo Berlino, siamo stati a Toronto e a San Francisco. Abbiamo superato le cento presentazioni e l’accoglienza è stata dappertutto molto buona, al limite del commovente. Pensa che il dibattito alle volte era più lungo del film che dura comunque 85 minuti.

E tu come stai Franco?
Decisamente meglio rispetto a quando il film è stato girato, venivo dal trapianto di cellule staminali per il mieloma multiplo che tenevo sotto controllo da medicinali con effetti collaterali pesanti. Con gli ausili ortopedici e l’aiuto di molti amici devo dire che ho una vita quasi normale. Ho fatto anche un secondo coming out, quello da malato, usando il film. L’ho fatto per mandare un messaggio alle persone con handicap e dire loro che non si devono chiudere in casa, devono uscire e provare a fare una vita più simile a quella esistente prima. Si può diventare handicappati in qualsiasi momento; in Italia ci sono cinque milioni di persone con handicap di vario tipo, è un dovere di tutti essere consapevoli che ci vuole un investimento culturale anche contro i pregiudizi verso queste le persone. Perché le barriere architettoniche e culturali da abbattere sono tante. Attraverso questo film abbiamo dato un messaggio in questa direzione che è stato ben recepito.

Il titolo del film deriva da un libro scritto da te insieme a Laura Maragnani che si chiama "Ecce omo: 25 anni di rivoluzione gentile". È stato pubblicato nel 2008. Sono passati quasi 15 anni tra il libro e il film, come è cambiata l’Italia nel frattempo per le persone gay?
Nel film racconto i quarant’anni, o meglio i miei quarant’anni di attivismo per i diritti civili. La data spartiacque è quella del 28 giugno 1982 quando a  Bologna inaugurammo la prima sede pubblica affidata a un movimento gay. Il cambiamento del passato rispetto all’oggi è addirittura misurabile.  Pensa che negli anni '90 si facevano le inchieste sulle persone omosessuali e i risultati erano estremamente negativi. Mettevano a sondaggio "zingari", immigrati, tossici. Eravamo al primo posto, il pregiudizio sui gay batteva pure quello sui rom. Il 60% della popolazione oggi invece accetta gli omosessuali. Il cambiamento ovviamente c’è stato su impulso dell’ArciGay e delle organizzazioni Lgbti ma c’è stato anche per l’influenza internazionale e per il cambio generazionale. Il cambiamento per i diritti civili è irreversibile, qualsiasi sia il governo che avremo. Questa è un'opinione personale ma è suffragata da un'analisi delle persone omosessuali in Europa, perfino in Ungheria, dove Orban aveva fatto sequestrare i libri lgbti, il referendum contro i gay è stato bocciato dal popolo ungherese. Questo dimostra che anche nei Paesi nell’est, che hanno un retaggio culturalmente maschilista e omofobo, la maggioranza della popolazione ha accettato le persone lgbti. In Europa non si può più tornare indietro, in Russia è diverso ma lì c’è la dittatura di Putin dove due dei pilastri sono il tradizionalismo familista e la persecuzione delle minoranze.

Fuori dai denti: qual è secondo te il rapporto tra politica e diritti civili? Una parte a destra li nega, una parte a sinistra li vuole ma è minoritaria, nel mezzo si ha l’idea che spesso siano usati come operazione pop per prendere voti ma ci si ferma a un passo dalla meta tra franchi tiratori e tentennamenti. Pensiamo, ad esempio, al recente ddl Zan ovvero la legge contro l’omofobia.
In Italia esiste un drammatico problema di cultura politica, esiste in generale sia chiaro. Per la destra è palpabile: ha una cultura tradizionalista, maschilista, omofoba, xenofoba e, peggio, razzista. Io ho definito quella italiana la destra peggiore d’Europa. Anche il centro-sinistra e il mondo progressista hanno un problema di limite di cultura politica, emerge carsicamente una polemica totalmente destituita di fondamento tra una contrapposizione che non esiste tra diritti civili e diritti sociali. Che se ti occupi di una cosa non fai l’altra mentre invece sono complementari. Dobbiamo essere chiari perché questa contrapposizione non c’è: sono la stessa cosa. Non c’è giustizia sociale senza libertà individuale, non c’è libertà individuale senza la garanzia dei diritti dei lavoratori. Prendiamo ad esempio il diritto al lavoro delle persone transessuali, diventa chiaro che diritti civili e diritti sociali sono la stessa cosa. Noi ci aspettiamo dai partiti che si definiscono progressisti e delle organizzazioni intermedie, come i sindacati, che ci sia una decisa svolta. Che si chiuda una zona d’ombra che ha portato diversi senatori del centrosinistra a votare contro la legge contro l’omofobia, per esempio.

Dici che i democristiani hanno le loro responsabilità?
Guarda la Democrazia Cristiana era un partito ipocrita, aveva il maggior numero di omosessualità al vertice ed era quello più di altri che negava i diritti degli omosessuali. Oggi la Dc non esiste più ma alcuni partiti si sono democristianizzati, quando è morto, lo scudo crociato è entrato in un frullatore e si è sparso in tutto il sedime politico. Quando i democristiani erano tutti insieme riuscivamo a far passare le leggi, divorzio e aborto sono passati quando la Dc era al potere, ora il quadro è più complicato.

D’altro canto, però, Papa Francesco e il Cardinale Zuppi hanno fatto aperture inimmaginabili in pochissimo tempo.
Sì, possono dire alcune cose con chiarezza ma non hanno cambiato neanche una virgola della dottrina. Liturgia, tradizione e dottrina su questo si basa la religione cattolica, e oggi al massimo sono cambiati i toni. Non è un cambiamento disprezzabile sia chiaro. Molti dei giovani lgbti che si toglievano la vita erano credenti e molti di questi fatti di cronaca erano dovuti a un atteggiamento omofobo e aggressivo del Vaticano e dei prelati a tutti i livelli. Mentre prima l’omofobia del linguaggio politico dei vescovi era coperta dai papi, oggi in gran parte non lo è più. Ci vorrebbe una svolta nel Vaticano che cambi la dottrina perché nei documenti si parla ancora di omosessualità come devianza. Basta leggere il “Sulla cura delle persone omosessuali" dell’ex papa Ratzinger del 1986 che non è mai stato ritirato. La verità va detta, bisogna depurare questi testi. È inutile dire che non sei omofobo e poi tutti i testi su cui si regge la pratica quotidiana della Chiesa cattolica sono intrisi di discriminazione verso le persone gay.

Non ti sembra che il movimento lgbti si sia più istituzionalizzato. A vedere Let’s Kiss voi facevate manifestazioni anche in dieci rischiando di prendere sputi, calci e legnate. Si è perso il clima da strada?
Sono tempi differenti che richiedono una strategia molto differente. Quando iniziammo avevamo a che fare con l’Aids e per cinque anni ci siamo occupati totalmente di lotta alla pandemia e siamo stati un sostituto delle Stato. Poi è uscita la tri-terapia e abbiamo potuto iniziare a occuparci della legislazione su omofobia e coppie civili, a partire dagli anni '90 partendo dal basso nei comuni per le delibere delle unioni civili. Periodo difficile quello dell’inizio dell’Arcigay, mi chiedo: come abbiamo fatto a resistere? Perché le persone morivano davvero come mosche. Non so darmi una risposta, c’era in me e negli altri, una specie di sacro furore ideale. Eravamo davvero convinti di stare dalla parte giusta della storia. Senza questo pensiero non saremmo riusciti a farcela, eravamo senza soldi, senza sedi e senza mezzi. Per cinque anni il mio stipendio da dipendente pubblico, circa 250mila lire al mese, andava interamente per le spese della militanza. Pensa che pagavo io le bollette della sede di Arcigay nazionale.

Cosa deve fare la Cgil per la causa lgbti?
Sono appena tornato dalla Sardegna dove con un amico ho rievocato il congresso della Cgil a Roma nel maggio '86, per la prima volta c’era la delegazione ufficiale dell’Arcigay. La cosa fu salutata in apertura da un applauso della platea e nel documento finale si citavano i diritti delle persone omosessuali, ripeto erano gli anni '80. La Cgil è sempre stata un buon interlocutore e deve continuare così, ha ad esempio l’ufficio Nuovi diritti. Il rapporto con il sindacato è decisivo perché deve entrare nelle contrattazioni collettive, nei luoghi di lavoro dove si combattono le discriminazioni, questo migliora la produzione e i rapporti tra i colleghi. Quando uno si deve nascondere, ha paura, tutti la vivono male e anche l’azienda lavora peggio.