Da oggi, 18 maggio, per tre giorni, fino al 20, alla Casa del cinema di Roma si rende omaggio a Cecilia Mangini, prima donna documentarista italiana del secondo dopoguerra, tra le pochissime del Novecento, scomparsa pochi mesi fa. Insieme al marito Lino Del Fra, regista anche lui, Cecilia ha rivoluzionato lo sguardo cinematografico italiano sulla storia e la società. Amica e collaboratrice di Pier Paolo Pasolini, fotografa, sceneggiatrice, saggista e cineasta ispiratasi sempre al cinema neorealista, i suoi film documentari possono tradursi, ognuno, in una lezione di storia, di linguaggio cinematografico, di indagine sociale e politica.

Ogni giornata avrà un tema: il 18 maggio Pasolini, le donne, il lavoro; il 19 maggio viaggi in Italia; il 20 maggio le rivoluzioni. Argomenti che saranno affrontati nell’ambito di cinque incontri ai quali parteciperanno Luciana Castellina, Guido Albonetti, Susanna Camusso, Laura Delli Colli, Mirko Grasso, Anne-Violaine Houcke, Gabriele Genuino, Christian Raimo, Lidia Ravera, Enzo Ciconte, Mariangela Barbanente, Antonio Medici, Marina Mazzotti, Claudio Domini, Matteo Gherardini, Paola Scarnati, Daniele Vicari, Paolo Berdini, Valentina Furlanetto, Raul Mordenti, Wilma Labate, Gianfranco Rosi e Vincenzo Vita.

“Alla fine degli anni Cinquanta - recita l’introduzione al Fondo archivistico della regista, conservato presso la Cineteca di Bologna - in un mondo pressoché totalmente presidiato da uomini, il produttore Lucisano le propone di girare un documentario e lei sceglie di raccontare una realtà scomoda, insieme a un autore altrettanto scomodo, Pier Paolo Pasolini; nascono così Ignoti alla città (1958), Stendalì (1960), La canta delle marane (1962). In pochi minuti questi documentari condensano la poetica che orienterà la produzione di Cecilia: dare voce a coloro che vivono ai margini, mostrare la desolazione della campagna devastata dal cemento delle periferie, registrare gli ultimi istanti di vita dei rituali della cultura contadina e pre-cristiana, spazzata via dall’avvento della civiltà industriale e dei consumi”.

“Durante gli anni Sessanta - prosegue il testo - Cecilia indaga l’umanità delle fabbriche. È la Rai che le commissiona un’inchiesta, Essere donne (1965), che disattende le aspettative auto-promozionali delle aziende che le hanno permesso di intervistare le operaie. Tanto che il cortometraggio - pur ricevendo consensi a livello internazionale (il film sarà presentato al festival internazionale del documentario di Lipsia, dove otterrà il premio speciale da una giuria composta da alcuni tra i documentaristi più importanti dell’epoca: Ivens, Grierson e Rotha, ndr) - viene escluso dalla programmazione in sala dalla Commissione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo”.

Il documentario - visibile sul canale youtube della Fondazione Aamod -  è “tra le prime indagini cinematografiche sulla condizione femminile in Italia, analizzata nei suoi diversi aspetti: economici, sociali, psicologici, di costume. Partendo dai modelli femminili proposti dall’industria culturale - le dive del cinema e le modelle dei settimanali di moda - il film ricerca le sue protagoniste tra le donne vere, di tutte le età e di tutte le regioni: operaie che lavorano nelle fabbriche, contadine, lavoratrici a domicilio, braccianti, emigranti, casalinghe, donne anziane e ragazze giovanissime che accudiscono ai lavori di casa e alla sorveglianza dei bambini mentre le madri sono al lavoro; lavoratrici che partecipano alle lotte sindacali per la difesa del posto di lavoro, contro i licenziamenti, contro lo sfruttamento nelle fabbriche e nelle campagne, contro il ricorso al lavoro a domicilio per violare le leggi; lavoratrici che partecipano alle lotte per la pace, per la difesa della libertà e della democrazia, insieme a tutti i cittadini democratici e progressisti”.

“Come sono entrata nelle fabbriche? - raccontava Cecilia - In un modo incredibile: sono arrivata e ho detto: ‘Siamo la Rai’, così, senza un foglio scritto, senza un timbro. Ma è stata una parola magica, perché le fabbriche in realtà si aspettavano che la Rai, la tv di Stato, raccontasse agli italiani i luoghi dove si stava avverando il miracolo economico”.

“Ho una dichiarazione da fare - diceva con la sua voce leggera ma fortissima allo stesso tempo proprio ad una proiezione del restaurato Essere donne qualche tempo fa - quando volevo fare cinema, sapevo di una scuola a Roma molto prestigiosa. Una bella mattina, all’epoca vivevo a Firenze, ho preso il tram e sono arrivata fin là. Sono poi andata all’ufficio informazione e ho detto: 'Ditemi tutto quello che serve, qui da voi, per diventare regista'. Mi hanno guardata sbalorditi e hanno risposto: 'No, impossibile. Le donne non possono fare regia'. A quel punto gli chiesi che cosa potessero allora fare le donne e mi risposero: 'Ah, tante cose. Le sarte, le costumiste, le truccatrici, l’aiuto truccatrici, il taglio del negativo, ecco cosa possono fare le donne'. Sono rimasta allucinata, perché solamente gli uomini potevano fare regia! Così decisi che avrei fatto comunque regia e avrei cercato di fare di tutto pur di farla, però era una specie di sogno. Fino a quando un bel giorno mi hanno chiamata e mi hanno proposto di fare un documentario ed io sono quasi svenuta dalla gioia. E quindi beati voi ragazze e ragazzi che potete fare cinema. Tutto è libero, tutto è permesso (…). auguri per aver scelto forse il più bel lavoro del mondo, almeno per me”.

Il suo ultimo film firmato insieme a Paolo Pisanelli - Due scatole dimenticate. Viaggio in Vietnam (2020) - racconta della fortuita scoperta di due scatole di negativi fotografici 6x6 ritrovate in un armadio: fotografie potenti e coraggiose, fatte da Cecilia nella campagna condivisa col marito in Vietnam in guerra con gli Usa, tra il 1965 e 1966.

“Sono le fotografie che mi ricordano le cose - raccontava la regista - perché io sto perdendo la memoria.  Non mi ricordavo di queste due scatole. E poi le ho prese, le ho aperte, ho cominciato a guardare i provini e c’erano cose di cui non mi ricordavo più e che invece mi sono ritornate perché la fotografia recupera  il tempo, recupera lo spazio, recupera le sensazioni, recupera tutto”.

“Fare un documentario su un reportage fotografico ritrovato e un progetto di film non realizzato - affermava Paolo Pisanelli - non è solo un esorcismo contro il tempo e le occasioni perdute: è il recupero di storie vissute, di immagini affascinanti, di un pezzo importante della Storia di tutti. È molto importante sapere che un piccolo popolo è riuscito a sconfiggere una grande potenza politica e militare. Questa resistenza è un valore da ricordare, è anche un invito a non arrendersi mai”. Non arrendersi mai, neanche oggi, soprattutto oggi.