Ieri

Non bisogna necessariamente ricorrere alla meccanica quantistica o al multiverso di Doctor Strange per immaginare quale possano essere oggi le migliori scelte possibili di politica economica, affinché l’attuale modello di sviluppo – globale, europeo e magari anche italiano – sia più sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Senza fare appello, quindi, a scienza e fantascienza, possiamo limitarci a immaginare come vorremmo che le istituzioni nazionali e sovranazionali, assieme agli attori economici e sociali, interpretassero il momento storico e, di conseguenza, assumessero strategie macroeconomiche ideali per raggiungere buona parte degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs1), progresso e benessere dell’Umanità e del Pianeta definiti dall’Agenda Onu 2030-2050.

Oggi

Sono diversi anni ormai che nel Rapporto sui rischi globali del World economic forum – con tutti i limiti del contesto – si tracciano megatrend piuttosto allarmanti: dal rischio di stagnazione secolare a quello di conflitti tra Stati-nazione, dai cambiamenti climatici ai rischi per la salute e per la stessa sopravvivenza, dalla rivoluzione digitale a cybersecurity. Molti autorevoli economisti parlano di «permacrisi» (Lagarde, 2022), altri di «policrisi» (Pennacchi, 2023). Cambiano le definizioni e le posizioni in classifica delle emergenze, ma c’è sempre una costante, l’aumento ingiustificato delle disuguaglianze (Atkinson, 2015).

Questo è quel crocevia del divenire della Storia in cui occorre un’audace azione collettiva. Una cooperazione multilaterale per porre fine ai conflitti e risolvere le crisi partendo proprio dalla struttura economica da cui divampano. Il nuovo corso europeo, che ha portato al Green Deal europeo2 e poi al Next generation Eu3, va rilanciato e può rappresentare un ottimo punto di partenza, non solo per superare le crisi esistenti, ma anche per risolvere i nodi strutturali a cui si legano i fallimenti dell’attuale modello di sviluppo. E proprio nella prospettiva di una guida europea alla riforma del capitalismo globale, il nostro Paese può giocare un ruolo chiave.

Ripartire dal lavoro è fondamentale per correggere il modello italiano e suggellare un’alleanza fra Stato e sindacato in nome dell’interesse generale. C’è voluto troppo tempo per comprendere che la svalutazione competitiva, soprattutto del lavoro, non funziona. Il modello export-led deve lasciare il passo a un modello wage-led. Un nuovo obiettivo sopra a tutti gli altri deve imporre le priorità della nuova governance economica europea, così come dei vari documenti programmatici di economia e finanza o dei piani nazionali di riforme: la piena e buona occupazione. Solo se lo Stato – proprio come stabilito dalla Costituzione italiana – si ergerà a datore di lavoro di ultima istanza e garantirà un livello minimo di retribuzione, sarà possibile generare nuovi diritti e rigenerare la qualità del lavoro e dello sviluppo.

Con un nuovo intervento pubblico in economia, potremo giungere al 2030 con un rinnovato Pnrr in cui il dialogo sociale possa contribuire a moltiplicare gli investimenti, l’innovazione e l’occupazione in tutto il Paese, superando per questa via i divari territoriali e ponendo le basi per invertire la rotta delle disuguaglianze economiche e sociali, di genere e generazioni, che attraversano la Penisola.

Domani

Grazie al nuovo Pnrr 2030 il settore pubblico è tornato protagonista della crescita, creando anche un clima di unità istituzionale che sta facendo superare quella immotivata sfiducia che per decenni ha amplificato i limiti dell’agire pubblico e glorificato ciecamente i risultati e le pratiche dei privati. Il nuovo clima di fiducia in uno Stato che ognuno sente certamente più «proprio» rispetto anche a solo dieci anni fa ha permesso il passaggio dallo Stato regolatore a «Stato imprenditore e innovatore» (Mazzucato, 2021). Anche le imprese hanno compreso che la guida pubblica è un grande driver di sviluppo e di «giusto» profitto per quelle imprese che hanno il coraggio di lanciarsi verso i settori strategici, che hanno la voglia di anticipare la domanda futura.

Chi avrebbe mai scommesso, nel 2023, che l’Italia poteva essere il leader che è oggi nella costruzione e nel software dei macchinari per gli interventi chirurgici a distanza? Gli attori economici, e sociali, supportati da coraggiosi capitani di finanza, hanno creduto nel futuro. Quando le partecipate statali hanno puntato all’obiettivo di rispondere a bisogni collettivi – fortemente raccolti e indicati dalle parti sociali –, quando le infrastrutture pubbliche sono state finalizzate a ottimizzare quelle catene di produzione, nuove filiere in nuovi territori, soprattutto a Sud, una manciata di poche imprese, le migliori, ci hanno creduto e hanno investito nella componentistica e nel software aprendo nuovi mercati in grado di rispondere a bisogni globali. L’Agenzia pubblica per lo sviluppo industriale nata nel 2025 ha fatto il resto, coordinando risorse e attori pubblici e privati. In questa vicenda, ad esempio, sorge la Itasoft Calabria, incubata direttamente dall’Università della Calabria; stesso discorso potrebbe essere fatto per il brevetto di pale eoliche off-shore di ultima generazione, di cui l’Italia è quarto produttore mondiale e primo utilizzatore.

Il punto di svolta è stata la «Grande ricostruzione europea» del 2024 che, grazie anche al nuovo protagonismo del Vecchio continente nei negoziati per la fine del conflitto russo-ucraino, ha rinnovato l’ispirazione delle istituzioni e dei popoli europei per un nuovo «trentennio glorioso» (Leon, 2014) che conduca il mondo verso una convergente strategia di sviluppo sostenibile in linea con gli obiettivi Onu 2050. L’orizzonte degli Stati uniti d’Europa a cento anni dalla nascita dell’Unione europea finalmente visibile e luminoso. Ogni realtà europea si sta sempre più specializzando secondo la propria vocazione all’interno di un progetto organico in gran parte condiviso, dalle persone prima ancora che dagli Stati membri. Alla base del progetto c’è stato il convincimento che era il lavoro il perno attorno al quale ricostruire la crescita e con il quale si possono superare tutte le crisi.

In Italia, il grande aumento degli occupati, prima pubblici e poi privati, è stato possibile grazie ai programmi di «lavoro garantito» fondati sulla proposta dei democratici Usa di impiegare e retribuire temporaneamente in progetti pubblici, beni comuni e innovazione sociale chi è in cerca di lavoro (Mazzonis, 2019). La fiorente attivazione della forza lavoro potenziale (Eurostat, 2022) ha incrementato e stabilizzato progressivamente la domanda e qualificato l’offerta, colmando la prima delle disuguaglianze che hanno caratterizzato il sistema economico italiano – e non solo – fin dagli anni ottanta del secolo scorso, ovvero quella fra capitale e lavoro. L’alleanza tra profitti e rendite è stata spezzata da una nuova regolazione del lavoro, da un rafforzamento della rappresentanza e della contrattazione e da una rilevante estensione del perimetro pubblico a settori e mercati non navigati dal mercato. La quota dei salari sul reddito nazionale è tornata a livelli utili a sospingere investimenti e crescita, mantenendo l’inflazione sotto controllo, così come i conti pubblici.

Ancora oggi, prossimi al sentiero della piena occupazione e del pieno impiego dei fattori, assistiamo a temporanei rialzi del caro vita, ma essi diventano funzionali a una maggiore sostenibilità dei conti pubblici e a una riallocazione del reddito verso il lavoro e i profitti delle imprese a maggior produttività. E sono proprio le grandi imprese, con i loro investimenti sui processi produttivi, a ridurre costi e prezzi senza dover intaccare il costo del fattore lavoro.

Anche le politiche fiscali hanno facilitato questa transizione e l’incremento della tassazione sulle rendite speculative, oltre a determinare maggiori entrate pubbliche strutturali, ha indirizzato la grande finanza al ruolo che gli compete: finanziare gli investimenti produttivi, scommettere sul successo o meno di imprese e tecnologie, garantendo i risparmi. L’imposta sulle transazioni finanziarie ad alta intensità, la pressione fiscale sulle speculazioni resa pari a quella sul gioco d’azzardo, la riduzione della leva su diversi prodotti tra cui i derivati, i maggiori controlli sulla finanza Otc (quella esterna ai circuiti più standardizzati), la diffusione dei parametri di sostenibilità varati dalla Bce (2023) hanno determinato questa nuova e più sana funzione della finanza. La riforma fiscale si è anche occupata di aumentare la progressività, quando si sono ridotte le imposte a lavoratori e pensionati senza il timore di incrementarle ai più benestanti. Per decenni ogni progetto di riforma sembrava dover partire dalla riduzione del gettito, paventando catastrofi e migrazioni di massa se si fossero tassati di più i redditi e i patrimoni dei più ricchi. Nulla di tutto ciò è (ovviamente) accaduto, nessun ricco è uscito impoverito a causa della nuova aliquota massima Irpef del 49% oltre i 100.000 euro o dello 0,8% sul patrimonio oltre il milione di euro. E l’incrocio delle banche dati in chiave antievasione si è rivelata non solo la soluzione per recuperare quasi 30 miliardi ogni anno, ma anche il modo migliore per ridurre gli adempimenti e per dimostrare la correttezza dei contribuenti onesti. Il tutto accompagnato da social e green bond i cui rendimenti elevati in corrispondenza delle politiche di transizione hanno determinato un reindirizzamento dei prodotti offerti anche dagli operatori privati. La partenza dell’euro digitale ha reso per tanti versi meno appetibili le criptovalute, ormai relegate a casinò virtuale, ma le cui innovazioni in materia di database e comunicazione (su tutte, la blockchain e i meccanismi di creazione/copia/distruzione dei token) sono state utilissime per le pubbliche amministrazioni e per diversi processi produttivi, permettendo una più semplice archiviazione, un maggiore e più diffuso controllo dei processi e meccanismi di dialogo tra software prima impossibili.

La riduzione della diseguaglianza ha determinato un incremento della domanda, specie di beni durevoli. Se non guidata da politiche industriali, questo cambiamento avrebbe determinato un peggioramento della bilancia commerciale, specie verso paesi extraeuropei: con il nuovo trattato che porterà all’unione fiscale nel 2033 la compensazione fra importazioni ed esportazioni intra-Ue, orientando la bilancia commerciale europea verso il pareggio, come stabilito dai parametri-obiettivo del nuovo scoreboard macroeconomico europeo; con riflessi positivi anche sugli equilibri macroeconomici globali per effetto dell’internalizzazione delle produzioni ad alta intensità tecnologica e di conoscenza. Il Pnrr-2, ormai diventato politica ordinaria e definito «piano settennale ciclico di investimenti», che terminerà di fatto nel 2033, sarà seguito dal Pnrr-3, in coincidenza con l’unione fiscale. La strategia si basa sull’indirizzo di produzioni e consumi verso il pieno raggiungimento dell’Agenda Onu 2050, misurata dal nuovo indicatore sintetico delle tre principali dimensioni dello sviluppo, ossia economia, società e ambiente, denominato «Eco». La molla per superare il Prodotto interno lordo come unico e universale indicatore di crescita e, dunque, integrare la visione dello sviluppo è scattata nell’estate del 2023, quando i diversi richiami alle crisi energetiche degli anni settanta ricordarono al dibattito sovranazionale l’intuizione de «La Felicità interna lorda» del Bhutan (in inglese, Gross national happiness), ovvero dell’indice di progresso economico e morale che il sovrano del Paese himalayano Jigme Singye Wangchuck introdusse nel 1972 come alternativa al Pil, affermando che «non possiamo rimandare la felicità a domani, perché domani potrebbe non venire mai».

 

Bibliografia

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Lagarde C., 2022, «Addressing Financial Stability Challenges», 8 december, https://www.esrb.europa.eu/news/schedule/2022/html/20221208_6th_annual_conference.en.html ence.

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Pennacchi L. e Sanna R. (a cura di), 2015, Riforma del capitalismo e democrazia economica, Ediesse, Roma.

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1 https://sdgs.un.org/goals

2 https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it

3 https://next-generation-eu.europa.eu/index_en