L'articolo 41 della Costituzione italiana sancisce che l'iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi “in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. L'attività economica pubblica e privata deve quindi essere “indirizzata e coordinata a fini sociali”. “Purtroppo oggi sono poche le imprese che fanno profitto rispettando questi dettami. La maggior parte tende invece a massimizzare il profitto e a mettere in ombra il senso della sostenibilità, cioè il rispetto delle persone e dell'ambiente”. A dirlo, ai microfoni di RadioArticolo1, è Valentino Bobbio, imprenditore, già dirigente di Confindustria, e oggi vicepresidente di Next, la rete di organizzazioni che promuove l'economia sostenibile attraverso il dialogo tra cittadini, imprese, giovani e studenti.

In realtà - continua Bobbio - alcune imprese già cominciano a mettere accanto agli obiettivi di profitto, il rispetto dell'ambiente e un impatto sociale positivo, quindi un'attenzione alle persone all'interno dell'azienda e lungo tutta la filiera di fornitura. È quindi possibile farlo, ma è una grossa sfida. Perché essere sostenibili è molto più difficile e richiede capacità di gestione diverse, e un'attenzione profonda alle persone e al territorio. C'è dunque bisogno di una maturità e di una cultura diverse. A dire il vero, una sensibilità in questo senso c'è sempre stata, ma le imprese hanno bisogno dell'aiuto dei cittadini per cambiare. Da sole fanno fatica a cedere potere, dato che per loro è molto più comodo continuare a pensare esclusivamente al profitto”.

“Noi cittadini - afferma il vicepresidente di Next - possiamo intervenire 'votando con il portafoglio', come dice Leonardo Becchetti. Cioè facendo valere la nostra forza di domanda del mercato. Senza il nostro impegno di spesa, senza i nostri risparmi, le imprese non vanno da nessuna parte. Noi ci sentiamo deboli e impotenti, mentre invece rappresentiamo la domanda del mercato. Se spostiamo questa domanda verso le imprese più responsabili, possiamo aiutarle, rafforziamo il loro impegno e spingiamo le altre a seguirne l'esempio”.

In ogni caso, ci sono dei settori che non sono sostenibili per definizione. “Quando si parla di gioco d'azzardo, di fumo, di armi o di fonti fossili - conferma Bobbio - parliamo di attività che bisogna ridurre e, possibilmente, abbandonare”. Ma una buona notizia c'è: “Le persone sono sempre più sensibili e si dichiarano disponibili a comprare prodotti sostenibili anche se costano un po' di più. Non è un caso se durante la crisi, mentre la domanda scendeva, le produzioni equo-solidali sono cresciute del 10-15% l'anno e i fondi etici sono esplosi. Questo perché rendono allo stesso modo, ma sono meno rischiosi. Moltissimi imprenditori sono scappati dalle fonti fossili. I Rockefeller e i Garrone, ad esempio, hanno abbandonato il petrolio e si sono dedicati alle energie rinnovabili”.

In questo modello economico che cambia, anche il sindacato può giocare un ruolo importante. “Uno stimolo viene senza dubbio dalla direttiva comunitaria che ha imposto pure nel nostro paese l'obbligo della rendicontazione non finanziaria per le imprese con un numero superiore di 500 dipendenti”, afferma Ornella Cilona, dell'area politiche dello sviluppo della Cgil nazionale. “Se si richiede per legge alle grandi grandi imprese di pubblicare informazioni di carattere sociale e ambientale – conclude -, il sindacato, che è presente nei luoghi di lavoro, può intervenire per verificare che le informazioni siano corrette e per stimolare la sostenibilità. Il sindacato, quindi, può svolgere un decisivo ruolo di monitoraggio e di sorveglianza, che però necessita comunque di un interlocutore attento a questi temi.”