Il 7 novembre la Svimez, l'associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, presenterà il rapporto 2017 sull'economia del Sud. Come di consueto le anticipazioni sono state diffuse a luglio. In sintesi: il 2016 conferma la “ripresina” del 2015, ma i livelli dell'economia sono assai lontani da quelli del nord e da quelli del 2007 che, secondo le stime e gli attuali ritmi dell’economia, saranno recuperati non prima del 2028. Resta il problema che la ripresa non sembra incidere molto sull’emergenza sociale dei territori meridionali. Di questo ha parlato Giuseppe Provenzano, vicedirettore Svimez, nella nuova puntata di "Economisti erranti", la trasmissione di RadioArticolo1.

 

La ripresa del 2017 – ha spiegato Provenzano – manifesta ancora elementi di fragilità, e la distanza dal resto dell'Europa è ancora molto elevata. Tuttavia gli ultimi anni, il 2016 e il 2017, cominciano a darci qualche elemento di fiducia in più. Il sistema economico meridionale non è un sistema morto, complessivamente reagisce alle politiche. Questo è un punto importante. Dobbiamo essere consapevoli che quella del sud non è una causa persa. C'è stata nel 2015 una lieve ripresa degli investimenti pubblici e l’area ha reagito. Questa ripresa degli investimenti pubblici purtroppo si è interrotta perché era connessa soprattutto alla chiusura del ciclo dei fondi europei, però abbiamo un'indicazione chiara di quale sia la rotta da seguire”.

Se gli indicatori economici migliorano, per quanto lievemente, lo stesso non si può dire di quelli sociali e della povertà economica, fatta di lavori a basso reddito e di scarsa qualità. “In questo biennio – spiega sempre Provenzano –, il sud ha dato un contributo maggiore alla crescita economica italiana rispetto al suo peso, ma se non è sostenuto da un incremento della domanda di consumi che ancora sono molto bassi, sono oltre il 13% in meno rispetto a quelli dei livelli pre-crisi, noi non ne usciamo. La crescita di lavoro che c'è stata al sud, spinta dalla costosa decontribuzione sulle nuove assunzioni, ha prodotto in molti casi forme di occupazione a tempo ridotto e part time involontari, il tutto connesso a una insufficiente domanda da parte delle imprese. Questo significa lavoro a basso reddito e incremento di occupazione meno qualificata. Mentre la parte alta, che poi è quella che dovrebbe dare risposte ai giovani laureati, purtroppo non è cresciuta. Il che spiega il fenomeno per noi più preoccupante, che abbiamo definito il “nuovo dualismo demografico”, in cui una componente essenziale è proprio la ripresa dei flussi migratori verso il centro nord e verso l'Europa.

Si sta innescando nel paese una discussione pericolosa – aggiunge il vicedirettore Svimez –, che credevamo definitivamente superata, sulla dipendenza patologica del Mezzogiorno, cioè l'idea che ogni soldo destinato al sud sia spreco o malaffare. La questione degli sprechi e del malaffare riguarda tutto il paese e va affrontata con grande determinazione, ma il sud non ha beneficiato in questi anni di una uguale spesa in conto capitale, un'uguale spesa corrente in termini pro capite rispetto al resto del paese, non c'è un sud inondato da risorse pubbliche. Il cosiddetto residuo fiscale non riesce a garantire un'uniforme spesa pubblica nell'intero paese. Andrebbe considerato anche quanto, poi, di questo residuo fiscale ritorna al centro-nord in termini di attivazione diretta di produzione di beni e servizi. Per ogni 10 euro investiti nel Mezzogiorno, 4 ritornano direttamente nel centro-nord, e il resto contribuisce a consolidare un mercato interno meridionale che vale molto e di cui il nord non può fare a meno. Se in questi anni di crisi il Mezzogiorno ha pagato di più, dobbiamo pur dire che le regioni del centro nord non sono andate benissimo. Se il Mezzogiorno è la Grecia, il centro-nord non è più la Baviera, anche le regioni centro-settentrionali hanno perso terreno e hanno perso terreno anche perché si era spento il motore interno meridionale”, ha concluso Provenzano.