"Economisti erranti". Così si chiama la nuova trasmissione di RadioArticolo1, la cui prima puntata ha preso il via oggi, che ha visto la partecipazione di Gianna Fracassi, segretaria confederale Cgil, Laura Pennacchi, coordinatrice del Forum Cgil dell'economia, e Riccardo Sanna, coordinatore dell’area Politiche dello sviluppo della confederazione.

 

“In qualità di sindacalisti – ha affermato Fracassi –, spesso e volentieri ci troviamo ad affrontare sistemi economici sempre più complessi, tali da condizionare le politiche dei singoli stati, che riversano i loro effetti deleteri sul versante del lavoro. Perciò, abbiamo bisogno di trovare una bussola per orientarci nella crisi economica, trovando uno spazio di comunicazione all’interno dell’organizzazione e anche all’esterno di noi, per delineare un modello di sviluppo economico e sociale che parli alle emergenze del Paese, affrontando il tema delle diseguaglianze. Erranti, nella doppia accezione del termine, perché vogliamo pensare a un nuovo processo economico come un viaggio attraverso realtà economiche del nostro Paese, in quanto pensiamo che poco si è fatto su questo versante per cogliere le estreme eterogeneità esistenti. Ma erranti anche nell’accezione di errare, rispetto a formule economiche che si sono messe in campo, rivelatesi poi sbagliate e dunque da cambiare, con un’impostazione che intende rimettere in discussione alcuni pilastri economici - vedi l’idea neoliberista -, che hanno guidato i nostri ultimi governi”.

“Viviamo in una contraddizione – ha proseguito la dirigente sindacale –, per cui in realtà c’è una consapevolezza solo formale di quelli che sono i grandi pericoli del mondo, che porta addirittura a ridefinire i progetti strategici su cui fondare le politiche dei prossimi anni. Mi riferisco all’agenda sugli obiettivi di sostenibilità sociale e ambientale 20-30, che dovrebbe essere declinata su una serie d’interventi coerenti. Ma anche, in tema di lavoro, sul fatto che non si danno risposte adeguate all’obiettivo dell’occupazione, soprattutto quella giovanile e femminile. Dunque, c’è necessità di utilizzare anche uno schema diverso di natura economica. Cosa che non ritroviamo nelle politiche del Governo, né sul versante sociale né su quello occupazionale, con la riproposizione nel Def di schemi e ricette che non hanno funzionato”.

“Ci troviamo in un contesto davvero paradossale a quasi dieci anni dall’esplosione della crisi – ha spiegato Pennacchi –. Non ne siamo ancora fuori e soprattutto abbiamo sempre a che fare con l’esasperazione delle diseguaglianze e la creazione di una disoccupazione enorme, oltre a un’assenza di lavoro enorme. Guardando all’Italia, si fa del trionfalismo sostenendo che è stata ottenuta nuova occupazione. In realtà, se consideriamo i dati Istat come unità di lavoro e tenendo conto dell’occupazione precaria, instabile e intermittente, ci accorgiamo che mancano un milione 200.000 posti di lavoro rispetto al decennio passato. Quindi, siamo in una situazione molto seria e il paradosso è che a livello globale il neoliberismo, lo stesso che ci ha portato alla catastrofe nel 2008, non è fallito nè si prende atto del suo fallimento: anzi, siamo alla sua resilienza, e soprattutto in Europa è ancora preso come punto di riferimento delle politiche”.

“È vero che ci sono state delle modifiche – ha continuato l’economista –, soprattutto da parte della Bce, il cui presidente Mario Draghi ha sopperito con la politica monetaria a una mancanza di politiche di bilancio assai espansive, anche se quelle stesse politiche causano una serie di elementi controproducenti, come la diffusione di una marea di liquidità che viene utilizzata per alimentare ulteriormente la speculazione e la finanziarizzazione dell’economia, che sono uno dei tratti fondamentali della Global economy e del modello neoliberista, i cui pochissimi beneficiari sono appena lo 0,01% della popolazione che vive di rendite accumulate, aumentando di fatto le diseguaglianze. Dunque, siamo in una situazione che giustifica di cambiare totalmente paradigma. Perciò economisti erranti, nel senso di errare alla ricerca di un nuovo paradigma e di non accettare il mainstream, i dogmi, i mantra, fin qui utilizzati”.

“La questione della diseguaglianza va cercata nella diseguaglianza tra capitale e lavoro che si è realizzata negli ultimi trent’anni, attraverso il distacco totale tra salari e produttività – ha sostenuto Sanna –. Quindi, tra ciò che veniva remunerato al lavoro in termini di quantità e qualità del lavoro, quindi anche di occupazione, diritti, lavoro stabile e ciò che è rimasto a profitti e rendite. Naturalmente, la iperfinanziarizzazione, cioè la degenerazione della finanza, ha contribuito a moltiplicare le rendite e a non reinvestire e questo ha generato un circolo vizioso che ha contribuito anche alla flessione più importante dell’intera Unione europea degli investimenti nel nostro Paese. Di questo, se n’è accorto l’intero mondo accademico che continua a discutere del termometro delle diseguaglianze per misurare la sostenibilità del modello di sviluppo. Se n’è accorta in parte la politica, se ne sono accorte le istituzioni internazionali”.

“Ma, in primis, se n’era accorta proprio la Cgil – ha aggiunto il sindacalista –, che da anni parla di correzione dell’attuale modello di sviluppo, basato su evidenti squilibri come la troppa disoccupazione e i bassi salari, come ha confermato anche l’ultimo outlook del Fondo monetario internazionale, e come ha rimarcato anche l’Ocse, sottolineando che i posti di lavoro creati nel nostro Paese sono in realtà lavori con poche ore lavorate, non per scelta, ma per imposizione. Perciò, nella stragrande maggioranza dei casi si è lavorato meno del dovuto, spesso con contratti a termine o a part time, e lavorato male. Salari e diritti devono ancora conquistare molto terreno ed è un problema di democrazia, perché la sostenibilità economica e sociale, oltrechè ambientale di un modello di sviluppo fondato sulle diseguaglianze viene meno proprio in relazione al venir meno della democrazia economica che mette in discussione la stessa democrazia”.