Alla voce innovazione e industria 4.0 la Cgil ha deciso di non partire dagli scenari, “né quello catastrofista, né quello entusiasta della tecnologia”: “Partiamo invece dalle necessità, da quello che conosciamo e da come si traduce nelle condizioni di lavoro delle persone”. Con queste parole Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, ha avviato il suo intervento conclusivo al Forum nazionale dell'industria, del lavoro e dell'innovazione che la confederazione ha tenuto a Torino oggi, 21 settembre, in vista del G7 su lavoro, scienza e industria che si terrà proprio nel capoluogo piemontese nei prossimi giorni.

Una stagione importante
“Noi siamo in una contingenza straordinaria – ha detto Camusso –. Una stagione così non l’abbiamo mai vissuta. Abbiamo dieci anni di crisi alle spalle, e abbiamo avuto la sensazione che il Paese potesse non farcela. Contemporaneamente c’è stata una grande innovazione, un cambiamento continuo ma senza certezze. Allora ci si sente protagonisti di una stagione in cui puoi condizionare quello che succederà. Ma la tecnologia – avverte il segretario generale Cgil – non è neutra: la devi governare”. Ed è questo il tema che il sindacato propone: “Il Paese si rende conto che non riguarda solo la manifattura ma tutte le forze sociali, e che quindi richiede il governo?”, ha chiesto Camusso durante la tavola rotonda che ha chiuso la giornata di studio e confronto. E ha aggiunto che il sindacato ha l’occasione di “intervenire e determinare una stagione in cui le tecnologie saranno molto più invasive di quanto non siano già oggi”.

 

La formazione
“Come lo facciamo? - si è chiesta Camusso -. Passata una prima fase di alfabetizzazione, come la trasformiamo in attività e iniziativa sindacale?”. Il primo tema suggerito dal leader Cgil è quello della formazione. Da un lato – ha ricordato – “abbiamo delegati e rappresentanti sindacali che chiedono più formazione”. Dall’altro, “nel Paese c’è chi è impegnato a disegnare male la scuola del futuro. Ma noi – precisa Camusso – dobbiamo insegnare a imparare. Non è un gioco di parole. Invece assistiamo a un’impostazione di ordine specialistico” che limita i saperi appresi nel tempo e negli orizzonti, che fornisce conoscenze a scadenza rapida. Al contrario, per Camusso, “occorre fornire gli strumenti per poter continuare a muoversi” in un mondo del lavoro in continua mutazione tecnologica.

Camusso non si nasconde che l’Italia “è un Paese che ancora si confronta con elementi di analfabetismo, in quota consistente ma minore tra i giovani, in quota molto consistente nel mondo del lavoro esistente”. Uno strumento per facilitare la transizione – ha suggerito il segretario Cgil – potrebbe essere qualcosa di analogo alla legge per il diritto allo studio, alle famose 150 ore annuali che negli anni ‘80 consentirono un’altra grande fase di ricambio tecnologico: “Quelli che sono al lavoro devono sapere di cosa stiamo parlando, così da interagire e farsi le domande opportune. Non fai la transizione dal fordismo al digitale se non lo spieghi a chi lavora. Ma non è un processo che possiamo lasciare solo all’area alta dell’impresa. Deve riguardare l’insieme delle imprese. Deve tradurre il diritto dei metalmeccanici alle 8 ore di formazione in un pacchetto più consistente, perché 8 ore non bastano”, ha spiegato Camusso.

Contrattazione inclusiva, aggiornamento, tempo di lavoro
Occorre quindi “un ripensamento del sistema scolastico e una riqualificazione della formazione professionale verso l’alto. La formazione diventa un grande elemento della contrattazione: è il primo strumento per contrastare il fenomeno in base al quale le tecnologie diventano un fattore di polarizzazione nei luoghi di lavoro e nel Paese. La prima funzione di un sindacato è evitare la polarizzazione – ricorda Camusso - e la contrattazione inclusiva è proprio questa: sia per i lavoratori di fascia alta, sia per i lavoratori che di sfruttamento ne subiscono molto”.

Ma “evitare la polarizzazione impone anche la redistribuzione dell’orario di lavoro”. Spiega il leader Cgil: “Tutte le rivoluzioni industriali precedenti hanno portato a una riduzione dell’orario di lavoro. È difficile immaginare che se puoi sostituire tanto lavoro, la quantità del lavoro rimanga uguale. Però nessuno dev’essere escluso dalla formazione, anche se sta nell’area del lavoro sfruttato e non del lavoro di qualità”.

Il secondo tema suggerito da Camusso è: “Quanto lavori e cosa contratti rispetto a quanto lavori. Il tempo di lavoro diventa una questione straordinaria. Proviamo a determinare il tempo di connessione (diversamente da francesi e tedeschi che dibattono sul diritto di disconnessione dei lavoratori, ndr). Mettiamo sul tavolo il tema di contrattare la connessione e il rapporto tra quanto produci e quanto sei connesso”.

Filiera e trasferimento tecnologico
“Terzo tema – prosegue il segretario –: singole imprese o filiera? Come posso immaginare una contrattazione inclusiva se non vedo la filiera? La dimensione puramente aziendale non ti fa vedere il quadro complessivo”. Camusso, rivolgendosi ai rappresentanti di Confindustria, l’ha ribadito: “Se devo portare a sintesi il mondo del lavoro, devo trasformare una miriade di rapporti di appalto e subappalto in una filiera qualificata”. Una questione – ha spiegato Camusso alla platea – che conduce immediatamente a quella del “trasferimento tecnologico”: “Le medie e grandi imprese sono il crinale del nostro sistema. È vero che corrono, che sono nella parte alta tecnologica, che sono nella ricerca. Ma tutto ciò che resta sotto non ha capacità di ricerca, è fermo. Il tema del trasferimento tecnologico è quindi fondamentale. Bisogna attrezzare il Paese”.

Per Camusso non è possibile che l’Italia abbia “un tasso di ricerca così basso”. E precisa: “Sto parlando della ricerca pubblica, che è l’altra faccia della formazione”, perché il trasferimento tecnologico nel territorio non può essere delegato alle imprese (soggetti a natura concorrenziale, non mutualistica). Camusso precisa che “una quota di investimenti privati è ripartita. Non è sufficiente, però. Occorrono scelte di politica industriale e finanziamenti al territorio. Il livello locale e territoriale non ha più risorse. Lo strumento che serve è la Cassa depositi e prestiti: dovrebbe essere un volano – spiega Camusso –, da impiegare sia sul versante della ricerca”, sia su quello degli investimenti e dei finanziamenti.

Produttività e salari
Dopo aver ricordato che l’Italia ha perso molta produzione industriale – “abbiamo abbandonato agli altri interi settori in cui eravamo bravi” – Camusso si è soffermata sul tema della produttività, e ha sottolineato che “se teniamo distinte tecnologie, innovazione e produttività, noi continueremo ad abbassare i salari in questo Paese. Questa stagione ci impone di coniugare il termine produttività con un obiettivo che anche nelle imprese abbia caratteristiche di sistema. Gli attuali inquadramenti non c’entrano nulla. Il tema – precisa il segretario – è come redistribuire la produttività: oggi ci sono tendenze (nella contrattazione di primo e secondo livello, ndr) a dare pochi soldi e molto welfare, a volte anche fantasioso”, invece bisogna riportare al centro la “crescita dei salari”.

Giovani e lavoro: la decontribuzione non serve
“Come facciamo a far entrare stabilmente i giovani nel mercato del lavoro?”, si è chiesta Camusso ricordando che “stabilità non vuol dire posto fisso, ma inserimento in un processo continuo”. E ha argomentato: “Le leggi attuali non portano verso la stabilità. È sbagliato continuare a insistere con la logica della decontribuzione, che è temporanea. Parliamo di un mondo del lavoro che nelle sue polarizzazioni ha fasce crescenti che non conoscono lavoro stabile ma solo precario e temporaneo. Questo è il danno che stiamo facendo ai giovani, che subiscono percorsi discontinui e accidentati. Ma – ripete – la decontribuzione non è la logica giusta”. I canali giusti da usare, secondo il segretario Cgil, sono “le forme di lavoro miste, facendo la scuola-lavoro senza improvvisazione”, e l’apprendistato, che “innesca un processo di investimento reciproco e di stabilità. La parola ‘giovani’ va pronunciata avendo un’idea di strutturalità del sistema, e non di perenne transitorietà”.

Contrattare l’algoritmo
Un’ultima battuta Camusso l’ha dedicata a quel futuro che non è “bello, innovativo, di qualità”, perché “la tecnologia crea anche futuri non belli”. Il riferimento è esplicito: “E-commerce, sistemi di consegna rapida e piattaforme digitali stanno disegnando un pessimo mondo. Noi – ammonisce il segretario Cgil – dobbiamo contrattare anche lì, perché la tecnologia la determini, non si autodetermina. L’algoritmo non è un signore che si produce da solo, è una combinazione di domande dettata dalle impostazioni inserite dall’impresa. L’algoritmo nasce dagli input che sono stati dati”.

La parola d’ordine, per il presente e per il futuro del sindacato, è, suggestivamente, che “dobbiamo contrattare anche l’algoritmo per incidere sulle condizioni di lavoro delle persone. Se contratti anche quello strumento – ha concluso Camusso – puoi intervenire su cicli, flussi e condizioni di vita”.

Anche così il sindacato può includere, dare risposte e disinnescare quella polarizzazione tra lavoratori, stili e oneri di vita che è il suo vero nemico, quale che sia la nuova tecnologia che lo supporta.

(a cura di Davide Orecchio)