“Il futuro dei Fondi Interprofessionali? Essere soggetti attivi della Rete Nazionale dei servizi per il lavoro per ‘vincere’ il lavoro fragile in un quadro di regole certe. Significa promuovere azioni comuni per l’occupabilità dei giovani, dei disoccupati e proteggere chi è a rischio di espulsione. I Fondi sono un’esperienza di successo e ci sentiamo appieno di svolgere una funzione che, proprio perché nell’interesse generale, non ci spaventa venga definita pubblica. Nella misura in cui riusciremo nei prossimi mesi a costruire una cornice che ci consenta di essere soggetti di politiche attive, ben vengano le regole. Come Fondi siamo disponibili a metterci in gioco”. Così il presidente di Fon.Coop Andrea Fora ha aperto i lavori del convegno organizzato dal Fondo delle imprese cooperative “Dialogo istituzionale. Il ruolo dei Fondi Interprofessionali nelle politiche attive del lavoro” che si è svolto lo scorso 28 giugno a Roma.

Il convegno ha preso spunto dalle novità legislative introdotte dal decreto 150/2015 che, nell’ambito del Jobs Act, ha istituito la Rete nazionale dei servizi per il lavoro, cui fanno parte i Fondi Interprofessionali, e l’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro, che ha potere di vigilanza sui Fondi. Inoltre a febbraio scorso la circolare 10 del ministero del Lavoro che qualifica i Fondi come organismi di diritto pubblico. Tra i presenti, insieme al ministro Giuliano Poletti e al presidente dell’Anpal Maurizio Del Conte, i rappresentanti dei Fondi e del Coordinamento delle Regioni. Per Cgil, Cisl e Uil è intervenuto Corrado Barachetti, coordinatore mercato del lavoro Cgil.

“Le caratteristiche strutturali dei Fondi sono il partenariato e la partecipazione. E sono caratteristiche che hanno dato buoni frutti – ha esordito Barachetti –. Quando il presidente dell’Anpal Del Conte ha evidenziato il problema dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, ha indicato che i Fondi e le parti sociali possono dare un contributo perché hanno esperienze ormai consolidate in questo campo”. Poi la precisazione: “Ci viene chiesto di essere parte attiva nell’azione di Anpal nelle crisi aziendali anche a livello territoriale. Se si tiene conto che tre Fondi detengono l’80% delle risorse e quattro di essi rappresentano l’80% dei dipendenti ‘aderenti’, esiste una massa critica su cui contare per interventi a carattere locale. In un contesto che fa salva l’autonomia dei Fondi, e che prova a dare un’organizzazione funzionale per avere risposte efficaci sul territorio, l’azione dei Fondi dentro Anpal può essere efficace. Ma solo a patto che le parti sociali che li costituiscono possano autonomamente concorrere a stabilire la modalità del loro intervento”.

Il dubbio di Barachetti è che, data una programmazione delle politiche attive affidata dal decreto 150 al ministero del Lavoro, solo il ministero stesso abbia voce in capitolo sulle risorse dello 0,30% e quindi sul resto. “I Fondi non possono essere il bancomat dell’Anpal” – ha affermato il rappresentante Cgil, Cisl e Uil, aggiungendo che “con la prossima legge di Stabilità bisogna chiudere l’esperienza del prelievo dei 120 milioni. O, quanto meno, decidere insieme cosa farne”.

Nel suo intervento il ministro, pur non dando alcuna rassicurazione su eventuali futuri prelievi sulle risorse dello 0,30%, ha riaffermato che la scelta di conferire natura pubblica ai Fondi e di includerli nella Rete dei Servizi del Lavoro è parte di un unico disegno volto a utilizzare soggetti attivi, e che ben operano, per farli dialogare con gli altri nodi della rete.“Ci vuole una corretta sperimentazione per includere nel mercato del lavoro i giovani, i disoccupati, gli immigrati” – ha replicato Poletti –. E i Fondi dovranno ampliare il campo di attività nel quadro delle regole che già ci sono. Ci sarà un confronto per agire a livello centrale e territoriale, ma noi adesso dobbiamo capire se questa Rete dei servizi funziona nei fatti, e che tutti i soggetti che vi operano collaborino fattivamente”. Sulla partecipazione dei Fondi, conclude: “Le parti sociali sono in Anpal, nel Comitato di vigilanza; una sede quindi c’è per coordinare le politiche. Se poi si ritiene necessario una sede specifica per coordinare la formazione continua, io non ho preclusioni”.