Vent'anni e passa di lavoro per alcuni, poco meno per altri, insieme a un concorso pubblico vinto, non sono bastati. Dopo una vita di lavoro precario, quattro lavoratori del Cnel sono stati lasciati a casa all'inizio dello scorso anno, e indennizzati, con sentenza arrivata ieri, con qualche migliaio di euro. Sono questi i primi, e soli, effetti del processo di cancellazione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, parallelo a un altro processo di cancellazione: quello dei diritti dei lavoratori, come il Jobs act impone.

In attesa della possibile soppressione del Cnel, con il previsto referendum costituzionale, il solo unico risultato tangibile registrato in questi mesi è stato, infatti, il licenziamento dei quattro precari dell'istituto diretto da Salvatore Bosco, dopo le dimissioni dello scorso anno di Antonio Marzano. La vicenda riguarda quattro lavoratori, vincitori nel tempo di un concorso pubblico per contratto a tempo determinato, impegnati nella struttura di viale Lubin a Roma, tra i venti e i sette anni, e che, all'inizio del 2015, sono stati lasciati a casa. Nessuna proroga né tantomeno alcuna stabilizzazione. Dopo anni, decenni, di lavoro i quattro precari storici del Cnel sono state le prime, e al momento uniche, vittime dell'iter di soppressione dell'istituto.

A distanza di circa un anno e mezzo dall'interruzione definitiva del rapporto di lavoro, ieri è arrivato il pronunciamento del Tribunale del lavoro di Roma, che ha sentenziato, in primo grado, un indennizzo pari a poco meno di 20.000 euro. Un giudizio strettamente connesso alla sentenza emessa dalle sezioni unite della Corte di Cassazione di qualche mese fa, che ha stabilito la misura del risarcimento del danno nell'ipotesi di abuso dei contratti a termine nella Pa (quantificato tra le 2,5 e le 12 mensilità), escludendo allo stesso tempo l'ipotesi di una stabilizzazione. Una sentenza che costituisce un unicum in Europa: in Francia, ad esempio, il rapporto si stabilizza nel pubblico impiego dopo sei anni, mentre in Germania non c'è alcuna differenza tra pubblico e privato: il contratto si trasforma in un rapporto definitivo immediatamente, se il termine è privo di ragioni oggettive che lo giustifichino.

Applicando pedissequamente la giurisprudenza invece, i quattro precari del Cnel sono stati rimandati a casa, benché nel 2008 avessero vinto un concorso pubblico, con la speranza di una stabilizzazione. Augusto, 59 anni, il più 'storico' dei quattro, dopo aver terminato l'Aspi, adesso, da disoccupato, si trova senza alcuna forma di reddito e lontano dalla pensione. “Per anni – racconta –, a partire dal 1992, ho lavorato al Cnel, seguivo i lavori delle commissioni, svolgevo compiti amministrativi. Sono entrato nella struttura di viale Lubin prima con contratti di espertato, poi con dei cococo. Nel 2008 ho vinto il concorso e sono passato a tempo determinato, con la speranza 'alimentata' di una stabilizzazione raggiungibile”.

Anni di lavoro cancellati, anche per una campagna di delegittimazione di un organo costituzionale, mai messo nelle condizioni di operare secondo i dettami della Costituzione. “Sono indignato – afferma ancora Augusto –, non tanto per il risarcimento economico, ma per la scarsa considerazione del lavoro svolto in questi ventidue anni. Capisco la sentenza della Cassazione, ma trovo scandaloso il trattamento che ci è stato riservato”. Difatti, al momento, sono le sole e uniche vittime di una campagna anti-Cnel, innestata in una filosofia del lavoro che è quella del Jobs act. Ovvero nessun diritto, nessuna considerazione delle persone, ma solo monetizzazione. Il diritto non si rispetta, al massimo si risarcisce economicamente (e neppure adeguatamente).