La reintegra con l’articolo 18 come modificato dalla legge Fornero è possibile. Difficile, ma non impossibile. Una recentissima ordinanza del Tribunale di Roma ha imposto a Carrefour di “riassumere” un lavoratore, Gianluca Pezzetta, licenziato per motivi disciplinari a seguito di una serie di contestazioni che il giudice non ha ritenuto sufficienti per una “pena” così grave quale è, appunto, il licenziamento. Casi come questi si contano sulla punta delle dite e possono dunque far scuola: naturalmente solo per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del Jobs Act che, come è noto, con il contratto a tutele crescenti, rende questa fattispecie ancora più difficile.

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Facciamo un passo indietro. Rispetto al vecchio Statuto dei lavoratori, la legge Fornero (l. 92/2102), stabilisce che qualora il licenziamento sia ritenuto illegittimo dal giudice, non scatti automaticamente la tutela piena, ovvero la reintegra sul posto di lavoro. Come spiega Giacomo Celata, l’avvocato che ha difeso il lavoratore della Carrefour e vinto la causa, il giudice deve “muoversi” tra i commi 4 e 5 del nuovo articolo 18. “Il 5 prevede il solo risarcimento economico, dalle 12 alle 24 mensilità, il 4 la reintegra con pagamento massimo di 12 mensilità – dichiara a Rassegna –. Il problema è che la norma non è chiara, perché la legge dice che per applicare il comma 4 il giudice deve constatare ‘l’insussistenza del fatto contestato’. Questa formulazione ha aperto il varco a una serie di interpretazione contrastanti”.

Secondo le interpretazioni più restrittive, basterebbe che gli episodi contestati siano reali, seppur di nessun rilievo, per impedire la reintegra.  E tali, per i sindacati, erano le contestazioni rilevate a Pezzetta dopo un’ispezione, effettuata dall’azienda lo scorso 14 dicembre, e durante la quale il direttore non era neanche presente: “Hanno trovato merce tecnicamente definita non ‘idonea’ alla vendita, che non vuol dire scaduta però – spiega Carlo Moretti, Rsa Filcams e Agenquadri Cgil in Carrefour –. Ma in quantità ridicole: 100 grammi di insalata, 200 di bietina, una pera ammaccata. Si può licenziare per questi motivi un direttore, risultato fino ad allora tra i migliori del gruppo in tutte le valutazioni periodiche a cui era stato sottoposto”?

Il giudice, riprende Celata, “è stato saggio; ha cioè ritenuto di misurare l’insussistenza giuridica delle contestazioni, anche sulla scorta di una sentenza del 2015 della Cassazione, e non quella puramente fattuale. Vale a dire: i fatti contestati erano reali, ma di una tale lievità e senza nessun profilo di illeicità o cattiva volontà da renderli non perseguibili con il licenziamento”. Anche perché, aggiunge l’avvocato, dalle contestazioni non era chiaro “cosa avrebbe dovuto mettere in atto il direttore per evitarli, aldilà delle misure predisposte e che erano quelle solite e corrette. Insomma: fatti lievi e indipendenti dalla volontà e responsabilità del lavoratore”.

L’altro aspetto interessante della vicenda sta nel fatto che il giudice ha evitato un’altra “trappola” della Fornero, interpretando in maniera elastica la novità contenuta nel comma 48 dell’articolo della legge, secondo il quale il licenziamento intimato dal datore di lavoro va impugnato con un nuovo rito, non quello classico, ma accelerato e sommario. In questo modo, per gli avvocati diventa molto più difficile far emergere i profili di illegittimità e di insussistenza dei fatti. Cosa che in questo caso non è accaduto.

Un ultimo profilo importante di questa sentenza è in rapporto a un altro “rischio” della Fornero: “Avendo l’articolo 18 differenziato le tutele rispetto al licenziamento illegittimo, ha creato di fatto la possibilità di un’illegittima inversione dell’onere della prova – conclude Celata – . Se il licenziamento può essere impugnato per insussistenza del fatto materiale, si genera una situazione tale per cui sarebbe il lavoratore a dover dimostrare che il fatto contestato è insussistente. Questa sentenza, invece, dice una cosa diversa: è il datore di lavoro a dover dimostrare che quei fatti sono realmente accaduti”.  

Questo è il piano “giudiziario”, che però, come spesso capita, si inscrive in uno stato delle relazioni sindacale all’interno di Carrefour a dir poco conflittuale, in una fase in cui l’azienda sta attraversando un periodo difficile. “Le ispezioni – riprende Moretti – si fanno sempre più pressanti. Recentemente, in sede di conciliazione all’Ufficio del lavoro abbiamo impugnato e vinto 49 procedimenti disciplinari. È molto difficile, soprattutto per chi ha responsabilità, lavorare in un clima così pesante”.

Carrefour ha a Roma 60 punti vendita e una particolarità: quasi tutti i quadri e i direttori dei negozi sono sindacalizzati grazie all’azione congiunta di Filcams e Agenquadri. Numeri alti di adesioni al sindacato si registrano anche in Abruzzo e altri territori. Questo spiega forse la tensione di questi mesi, legata anche ad altri aspetti, come l’apertura di punti vendita h24. “Quello che dispiace – spiega Paolo Terranova, presidente di Agenquadri – è che in un’azienda in difficoltà e che sta attraversando delicati processi di ristrutturazione e riorganizzazione, non si capisce che quadri e direttori organizzati sindacalmente possono rappresentare una risorsa. Ancora una volta, come è successo in altri casi, è l’azienda a scegliere la via conflittuale anziché quella della partecipazione”.

"Una maggiore partecipazione e responsabilizzazione – aggiunge il sindacalista – porta sicuramente a risultati migliori, sia per l’azienda sia per lavoratori, che non il rafforzamento di ispezioni e di controlli”. Quanto alla sentenza, conclude Terranova, “è la dimostrazione che il tema della reintegra in caso di licenziamento illegittimo non è una battaglia ideologica, ma riguarda diritti e dignità di persone in carne e ossa e, in alcuni casi, garantisce anche una maggiore libertà di svolgere attività sindacale nei luoghi di lavoro”. E non è un caso, dunque, che questo capitolo sia presente nella proposta di legge di iniziativa popolare per una Carta dei diritti universali dei lavoratori su cui la Cgil sta raccogliendo firme.