Di caldo si muore. Non solo anziani, persone malate, cardiopatici, ma anche lavoratori, fisici allenati, resistenti alla fatica. In Italia, come in Qatar. Nei cantieri nostrani come in quelli dei Mondiali di calcio del 2022, dove in 4 anni hanno perso la vita 1.400 lavoratori, vittime del nuovo schiavismo, 14 ore al giorno, 50 gradi all’ombra. Per lo più morti di infarto, cuori forti e giovani scoppiati sotto il peso della fatica e dello stress in condizioni climatiche estreme.

Quelle condizioni che, facciamocene una ragione, saranno anche da noi sempre più all’ordine del giorno, perché il global warming non perdona. Condizioni che, sbagliando, continuiamo a chiamare eccezionali o all’insegna dell’emergenza: la verità è invece che il riscaldamento globale sarà la regola per il prossimo futuro e tra 12 mesi avremo altre giornate con temperature percepite superiori ai 38 gradi. Potremmo arrivarci preparati, perché il tempo a disposizione è sufficiente – sempre che ci sia la volontà da parte di tutti,  istituzioni e imprese in primo luogo – a prendere le adeguate contromisure.

In 20 giorni, 11 morti: è un conto sommario, probabilmente sottodimensionato, dei lavoratori deceduti dall’inizio di questo mese a oggi nel nostro paese. Vite stroncate su un’impalcatura, in un terreno agricolo, dentro un camion. In diversi casi dopo aver manifestato qualche segnale di sofferenza (stanchezza, vertigini, vomito, sudore freddo, affanno), troppo debole però per preoccupare seriamente chi ti sta vicino. Perché sei abituato a sopportare il gelo, il caldo, la fatica; e devi finire la giornata, hai una famiglia da mantenere. Devi essere forte, perché solo se sei forte corri meno rischi di ritrovarti domani senza lavoro.

E poi cadi a terra esanime, la fronte brucia come un carbone ardente, perdi conoscenza. Arrivano i soccorsi, ma il tuo cuore si è arrestato ormai da troppo tempo, e di tempo non ce n’è più per riportarti a casa dai tuoi cari. È così che si muore di caldo sul lavoro. Ma il caldo non è un killer spietato, tale lo diventa solo se non lo anticipi. E lo puoi fare, altrimenti a che servono i satelliti, il meteo e le allerta della Protezione civile? A cosa serve la prevenzione? E le precauzioni? Quelle che le famiglie prendono quando in tv apprendono della prossima ondata di calore, quelle che sarebbe ora si prendessero anche nell’organizzazione del lavoro e nella gestione del sistema dei controlli. Quelle che afferiscono alla serietà di istituzioni e imprese nel costruire regole adeguate, farle rispettare e rispettarle, che chiamano in causa anche il buon senso di chi ha la responsabilità della vita di altre persone.

Tutto ciò che non accade in Qatar, dove nulla ferma il profitto, neanche la morte. Ma è così lontano il Qatar da casa nostra? Non si direbbe, se si guarda a ciò che è avvenuto pochi giorni fa in Salento, dove Mohamed, bracciante sudanese, è morto raccogliendo pomodori. Lavorava  in nero, per 2 euro a cassetta: tante ore di lavoro, nessun diritto, ritmi di lavoro asfissianti per qualche spicciolo in più a fine giornata. E allora, ricordiamoli tutti, uno a uno, questi morti del lavoro per il caldo, di cui nessuno parla. Quelli che è stato possibile individuare, grazie a una ricerca sulla stampa locale  dai primi di luglio a oggi.

C’è Andrea B., carpentiere di 59 anni: sta ristrutturando un’abitazione a Boara Pisani, in provincia di Padova. Avrebbe compiuto pochi giorni dopo 60 anni, non spegnerà le candeline, muore  per una sindrome coronarica acuta. Due giorni prima, sempre nel Veneto, G.B., rumeno di 50 anni, sta raccogliendo mele in una mattinata di duro lavoro sui campi. Poi l’alt, dato dal proprietario dell’azienda agricola, “tornate a casa, ci vediamo dopo le 4, fa troppo caldo”. Ma lui non riesce nemmeno a lasciare quel campo, lo ritroveranno un’ora dopo, accasciato e privo di vita, vicino alla sua bicicletta.

Ma c’è anche Milosav O., camionista 54enne: fa una sosta, di quelle obbligatorie, in un’area di servizio a Varese, dove passa la notte. Ma dal sonno non si risveglierà, morirà per arresto cardio-circolatorio. Nella cabina dell’autocarro la temperatura ha superato i 40 gradi. E ancora, un lavoratore rumeno, 47 anni: non regge al caldo estremo, muore nell’ allevamento di suini di un'azienda agricola a Grazie di Curtatone, in provincia di Mantova. Quasi nelle stesse ore, un altro lavoratore – questa volta agricolo, 37 anni – muore a Torretta di Eboli (Salerno): dopo un’intera mattinata a lavorare sotto il sole, beve una bibita, probabilmente troppo fredda. Non riuscirà a finirla, in pochi secondi cessa di vivere.

Ma l’elenco è, purtroppo, ancora lungo. Carmine M., 54 anni: muore a Rovereto (Trento), dopo essere stato colto da malore in una fabbrica di pneumatici. I colleghi protesteranno nei giorni successivi davanti ai cancelli della fabbrica: all'interno del reparto dove l'operaio si è sentito male, da giorni c’era un caldo insopportabile. Tonin R., 49 anni: muore in un cantiere a Firenze, colpo di calore. Eppure, ricorda la Fillea Cgil territoriale, le imprese dovrebbero obbligatoriamente programmare pause adeguate di riposo per i lavoratori e ridurre gli orari di lavoro per eccessivo caldo, ricorrendo alla cassa integrazione quando la temperatura supera i 34 gradi.

Parecchi chilometri più a Sud, a Pontecagnano, ancora in provincia di Salerno: F.A., operaio di 57 anni, è al lavoro in un cantiere vicino al lungomare. Poco dopo le 12 si siede su un muretto, e poi nulla più. Saranno i bagnanti dalla spiaggia a chiamare i soccorsi, ma per lui non ci sarà più niente da fare. Lazer O., manovale macedone, ha invece iniziato da poco a lavorare, sono le 8,15 di una giornata che non promette niente di buono, nel cantiere a Cinto Caomaggiore (Venezia) le temperature sono  impossibili già dalle prime ore del mattino. È al suo primo giorno di lavoro, carica un camion, pochi minuti ed è colto da malore. Vana la corsa in ospedale, dove il suo cuore smetterà di battere. Concludiamo con il caso di Filippo P., rumeno di 44 anni: è arrivato in Italia da pochissimi giorni, prendendo il domicilio in un paese del Pescarese. È felice, perché quello è il suo primo giorno in cantiere. Muore nella pausa pranzo.