A partire da aprile sarà possibile per i lavoratori del settore privato dipendenti dallo stesso datore da almeno 6 mesi, esclusi i domestici e gli agricoli, richiedere l'anticipo in busta paga delle quote mensili del trattamento di fine rapporto (tfr). Il provvedimento è stato presentato come un modo di rilanciare i consumi dei lavoratori, ma dimostra di volerlo fare utilizzando risorse che già ai lavoratori appartengono.

Il vero scopo di questa anticipazione del tfr è da ricercare nelle previste maggiori entrate per l’erario per circa 2.400 milioni; una finalità confermata dal fatto che tale opzione è preclusa ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni. La tassazione di queste somme in busta paga è il motivo principale per cui da questo provvedimento sono attese maggiori entrate.

La norma precisa infatti che le quote tfr richieste in anticipo sono assoggettate a tassazione ordinaria; non sarà versata contribuzione e nessuno correrà il rischio di perdere gli 80 euro mensili, prevede la legge, ma tali quote rientreranno nel reddito complessivo, con relativo assoggettamento anche alle addizionali locali.

Quando si parla di “tassazione ordinaria” significa che sarà applicata l’aliquota marginale effettiva, anziché utilizzare le più favorevoli regole della cosiddetta tassazione separata. L'aliquota marginale effettiva deriva non solo dall'aliquota formale applicata, ma anche dall'incidenza del nuovo reddito nella diminuzione delle detrazioni da lavoro dipendente e per familiari a carico, le quali calano all'aumentare del reddito complessivo.

Non solo. Ricordiamo che, quasi a incentivare la richiesta del tfr in busta paga, la stessa legge di stabilità ha innalzato le aliquote sui rendimenti della previdenza complementare e del tfr lasciato in azienda o presso l'apposito fondo Inps. Dall'11 si è passati al 17 per cento per i rendimenti del tfr e, addirittura, fino al 20 per la previdenza complementare.

Il timore è che si stia intraprendendo la strada di erodere i benefici fiscali originariamente previsti per la previdenza complementare come incentivo all’adesione. Uno degli effetti di questo agire sarebbe anche quello di diminuire la fiducia dei lavoratori nei confronti di quanti hanno loro consigliato di indirizzare i propri risparmi previdenziali verso i fondi complementari.

La (non) convenienza fiscale
Come risulta dalla tabella, la richiesta di anticipo delle quote maturande di liquidazione è fiscalmente non conveniente. Si nota subito che, con l’esclusione degli incapienti, quale che sia il reddito complessivo (che ipotizziamo coincidente con il reddito da lavoro dipendente) è sempre presente una maggior pressione fiscale, causata da un’aliquota più elevata e dall’applicazione delle addizionali locali.

Valutazione dei costi non fiscali
Nella valutazione dei costi, oltre a quelli fiscali, è bene valutare anche la diminuzione delle prestazioni legate al reddito – per esempio, gli assegni al nucleo familiare, eventuali assegni sociali o erogazioni assistenziali, e tutte le prestazioni legate al reddito familiare come valutato da Isee –. Il tfr anticipato, infatti, rientra in tutte tali valutazioni come reddito imponibile Irpef, mentre normalmente la liquidazione è considerata come reddito a parte e generalmente non rilevante.

Assegno sociale. Una famiglia composta, per esempio, da una donna che lavori e abbia un reddito pari a 10.000 euro e un marito percettore di assegno sociale, pur non scontando una diminuzione del reddito netto, vedrebbe l’assegno del coniuge passare da 1.661 euro a 900 euro, con una perdita di reddito familiare di circa 60 euro al mese, compensata da maggiori entrate del coniuge di pari importo che rendono neutra l'operazione (ma con la rinuncia al futuro beneficio, che di fatto chiude tale operazione con una perdita).

Assegno al nucleo familiare. L’Anf diminuisce per ogni aumento di reddito complessivo. In questo modo, a eventuali maggiori spese fiscali possono venirsi a sommare minori entrate per assegno al nucleo familiare. Non si parla normalmente di importi elevati, ma è comunque utile considerare anche questa perdita nel momento in cui si valuta di richiedere il tfr in busta paga.

Rivalutazione del tfr. Il tasso di rivalutazione del tfr è dell'1,5%, più il 75% dell'inflazione. Laddove per tre anni non venga accantonato il tfr, questa quota mancante farà perdere la rivalutazione. Ipotizzando un’inflazione al 2%, come da obiettivo Ue, le conseguenze, specie per chi ha ancora molti anni di carriera e può fruire di lunghe rivalutazioni composte, possono essere rilevanti.

Prestazioni legate al valore Isee. L'aumento del reddito complessivo, come detto, entra nell'indicatore, e questo potrebbe portare all'obbligo di una maggiore compartecipazione, o addirittura escludere il nucleo familiare dalle prestazioni agganciate al valore Isee. Ad esempio, le rette scolastiche e universitarie, le esenzioni o riduzioni degli abbonamenti per i mezzi pubblici, le prestazioni sanitarie e, ultimo arrivato, il nuovo bonus bebè di 960 euro annui per tre anni previsto dalla stessa legge 190/2014, che spetta ai soli nuclei che non superino il valore Isee di 25.000 euro.

Adesione alla previdenza complementare. La quota del tfr maturando è possibile che sia stata destinata a un fondo di previdenza complementare. In questo caso, per il periodo fino al giugno 2018, secondo la bozza di dpcm, i lavoratori potranno comunque rimanere iscritti al fondo, e versare la quota di competenza continuando ad accumulare la corrispondente quota a carico del datore di lavoro.

Non è facile fare previsioni sulla perdita previdenziale derivante da tre anni di mancati versamenti presso la previdenza complementare, in quanto sono molte le variabili. Possiamo però sostenere che lo svantaggio è alto per i lavoratori giovani, che dovranno versare ancora per molti anni, e per i lavoratori che hanno iniziato tardi a versare in previdenza complementare. Le quote di trattamento di fine rapporto non sono imponibili dal punto di vista previdenziale, quindi alla perdita della quota di pensione complementare non corrisponderà nessun aumento del pilastro pubblico.

Sembra poco sensato un sistema che cerca di incentivare l’adesione attraverso meccanismi di silenzio assenso, che ancora mantiene l'irrevocabilità della scelta di adesione ai fondi, che non permette di modulare l'accantonamento del proprio tfr tra azienda e fondo e che, contemporaneamente, prevede la possibilità di uscita temporanea senza alcun tipo di opzione verso altre forme di risparmio (in particolare verso il tfr in azienda), per soli fini di bilancio e di (scarso) sostegno ai consumi in un “gioco delle tre carte” che, se può essere un'opportunità per pochi casi di crisi effettiva di liquidità, rischia di risolversi in una trappola per la gran parte dei lavoratori dipendenti.

Le valutazioni in merito alla convenienza, quindi, devono essere fatte prendendo a riferimento dei valori individuali ed esterni alla partita fiscale, previdenziale e assistenziale. Anche in caso di posizione debitorie (mutui o prestiti) è bene valutare in maniera approfondita la reale convenienza di richiedere l’anticipazione analizzando, oltre alla partita fiscale, la complessità delle fonti di reddito e delle prestazioni erogate da datori di lavoro, enti previdenziali, strutture pubbliche ecc.

L’unico caso in cui può essere necessario richiedere il tfr in busta è quando ci sia l'impossibilità di far fronte alle spese correnti per eventi temporanei che hanno ridotto il flusso di liquidità nella famiglia. Un caso in cui potrebbe essere necessario, appunto, non conveniente.

TABELLA
 
Nota: Addizionali ipotizzate nella misura complessiva dell’1,8%, ma possono variare a seconda della residenza. L'imposta ordinaria applicata è pari all'aliquota marginale effettiva, che comprende anche l'effetto di abbassamento della detrazione. Caso di lavoratore single. In caso di carichi familiari lo svantaggio fiscale si accresce

* Responsabile politiche fiscali Cgil nazionale