Per il sindacato diventa più facile ottenere le informazioni su quanto fanno i grandi gruppi in campo sociale e ambientale. Questo grazie a una nuova norma comunitaria, in virtù della quale le società con più di 500 dipendenti sono obbligate a divulgare nel proprio bilancio, a partire dal 2017, dati e notizie sull'occupazione, su quanto fanno per difendere i diritti umani nelle proprie filiali situate nei paesi in via di sviluppo, sulle iniziative di lotta alla corruzione, sulle attività in difesa dell'ambiente e sul proprio impegno a favore delle pari opportunità e del dialogo sociale, nonché sull'attuazione delle convenzioni fondamentali dell'Organizzazione internazionale del lavoro.

Non solo. Le stesse imprese sono tenute a presentare dati e notizie sulle condizioni di lavoro nei propri stabilimenti e uffici, a dimostrare che rispettano i diritti di informazione e consultazione e di associazione sindacale per i propri dipendenti e a comunicare quanto fanno per migliorare la salute e sicurezza al lavoro e in difesa delle comunità locali. Anche i subfornitori dei grandi gruppi sono coinvolti dall'applicazione della nuova norma, perché le informazioni socio ambientali da divulgare non riguarderanno solo la casa madre, ma tutte le sue filiali e l'intera catena del valore.

La norma in questione è la Direttiva 2014/95/UE, cui devono attenersi tutte le società di pubblico interesse (quotate, banche, assicurazioni) con un attivo superiore ai 20 milioni di euro e/o 40 milioni di euro di ricavi. Si calcola che circa 6.000 imprese saranno toccate dalla Direttiva comunitaria nei 28 Stati membri dell'Ue, solo la metà delle quali già pubblica bilanci di sostenibilità. Si tratta di un cambiamento storico nell'approccio della Commissione europea al tema della responsabilità sociale. Per anni, Bruxelles ha insistito sul fatto che alle aziende non poteva essere imposto nulla, poiché la sostenibilità doveva essere una libera scelta senza vincoli.

Già nell'ottobre 2011, tuttavia, in una Comunicazione la Commissione Ue definiva la responsabilità sociale “la responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”, introducendo l'importante concetto che le aziende sono responsabili delle conseguenze negative che le loro azioni e decisioni hanno sulla società e sull’ambiente. Ora la Direttiva 95 va oltre, proponendo una visione “mista”, che unisce all'attività volontaria delle imprese un intervento prescrittivo da parte delle autorità pubbliche.

Come ha notato il parlamentare Ue Richard Howitt a febbraio, nel corso del suo intervento al Forum europeo Multistakeholder sulla responsabilità sociale, è ormai superata la vecchia polemica fra quanti puntavano a un approccio puramente volontario e chi richiedeva, invece, un intervento solamente impositivo. La via migliore è, infatti, utilizzare al meglio sia la volontarietà, sia la regolamentazione. Una strada, questa, già utilizzata da tempo in Francia. La stessa Direttiva 2014/95 ha, del resto, molti aspetti in comune con la legislazione d’Oltralpe in materia.

Una prima legge sulla rendicontazione non finanziaria, approvata dal Parlamento di Parigi il 15 maggio 2001, pur non imponendo obblighi, aveva migliorato la divulgazione da parte delle aziende di informazioni sull'occupazione, sulla difesa dell'ambiente e sulle politiche per la diversità. Dal 2012, grazie a una nuova legge, tutte le imprese francesi con oltre 500 dipendenti e più di 100 milioni di euro di vendite sono tenute a pubblicare all'interno del bilancio finanziario – e non nella tradizionale rendicontazione di sostenibilità – una serie di informazioni sociali, ambientali e di governance.

Un aspetto molto importante della Direttiva 2014/95 è l'insistenza sul principio della due diligence, che si traduce in italiano con il termine “necessaria diligenza”. Tale principio indica un processo per identificare gli impatti negativi, reali e potenziali, di tipo sociale, ambientale ed economico, delle decisioni e delle attività di un'organizzazione, con lo scopo di evitare, o quantomeno di mitigare, tali impatti negativi.

La Direttiva specifica anche che, per ottemperare agli obblighi previsti, le società europee possono contare su importanti strumenti internazionali intergovernativi, come le Linee guida Ocse sulle multinazionali, la Dichiarazione tripartita dei principi sulle multinazionali dell'Organizzazione internazionale del lavoro e i Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, nonché su altri importanti strumenti internazionali nel campo della responsabilità sociale, come le Linee Guida Iso 26000, le Linee Guida G4 del Global Reporting Initiative per la redazione dei bilanci di sostenibilità e il Global Compact dell'Onu.

Pur non essendo esente da limiti, primo fra tutti il fatto che non prevede alcuna sanzione per le imprese che non ne rispetteranno gli obblighi, la nuova normativa comunitaria rappresenta un'opportunità da cogliere per il sindacato, perché favorisce una maggiore trasparenza delle strategie aziendali e mira a un dialogo vero fra l'impresa e le proprie parti interessate (gli stakeholder), come il sindacato, le Ong, le associazioni dei consumatori e le comunità locali.

La Direttiva deve essere recepita nell'ordinamento italiano entro il 6 dicembre 2016 e si applicherà a partire dai bilanci relativi al 2017. Il governo potrà in quell'occasione scegliere se attuare la normativa comunitaria così com’è o se allargarne il campo d'azione, abbassando per esempio la soglia minima di fatturato o di occupati a partire dalla quale scatta l'obbligo di pubblicare le informazioni. L'augurio è che il governo italiano punti a migliorare i contenuti della norma comunitaria. Anche se, considerando il silenzio che la circonda, il timore che circola è quello di un suo recepimento addirittura peggiorativo.

Neanche le imprese italiane sembrano aver accolto con entusiasmo la nuova normativa comunitaria e da alcuni segnali emerge chiaramente che non hanno alcuna intenzione di confrontarsi con il sindacato su come intendono attuarla. Il 23 gennaio, l'Enel e il Global Compact delle Nazioni Unite hanno organizzato un importante seminario proprio su questo argomento, chiamando docenti internazionali, revisori dei conti e associazioni imprenditoriali, senza però invitare alcun rappresentante delle organizzazioni dei lavoratori o delle Ong.