Ci si avvicina al 25 ottobre, giorno della manifestazione nazionale della Cgil. Ma, nel contempo, arriva alla Camera il Ddl di riforma del mercato del lavoro, già approvato in Senato. E poi gli ultimi dati Istat sul Pil, la legge di Stabilità 2015, oggi in discussione al Consiglio dei ministri, la riforma dello Statuto dei lavoratori, con la petizione "Lo voglio anch'io", lanciata da Nidil Cgil, il cui segretario generale, Claudio Treves, è stato intervistato stamattina da "Italia parla", la rubrica di Radioarticolo1 (qui si può ascoltare il podcast). Se il sindacato aiuta i precari? "Consiglierei a tutti - afferma Treves - di andare sul sito di Nidil, perché da oggi compare una rubrica che si chiama 'Dove eravamo'. Quando Renzi chiedeva dagli schermi di 'Ballarò' dov'era il sindacato quando Marta, avvocatessa precaria con partita Iva, di 28 anni e in attesa di un figlio, stava nelle sue condizioni deprecabili, ecco lì si trovano gli accordi che Nidil, assieme alle categorie della Cgil, ma spesso anche unitariamente, ha fatto in questi anni". 

"A piazza San Giovanni
– ha iniziato il dirigente sindacale – ci sarà tutto il mondo del lavoro: dai dipendenti ai pensionati, agli atipici, ai precari, ai giovani disoccupati. Tutti costoro non andranno a Roma solo per salvare l'articolo 18, la cui modifica contenuta nel Ddl di riforma del governo è gravissima e va respinta comunque. Il problema, purtroppo, è più generale, nel senso che è l'idea di un lavoratore che non ha sostanzialmente altro diritto di sperare che l'impresa vada bene, perché questo è l'unico modo con cui lui riuscirà ad avere qualche prospettiva. Non c'è più, dal punto di vista del governo, l'idea che il lavoro in quanto tale abbia un autonomo punto di vista che va mediato: ormai il lavoro è vissuto come una conseguenza di quello che fa l'impresa, e ciò significa non riconoscere che il lavoro ha una dignità in primo luogo, e quindi dei diritti. Per questo, il 25 è una giornata importante per tutti quanti hanno l'idea che la dignità delle persone parte dal lavoro".

Per quanto riguarda il Jobs act, approdato ora alla Camera, secondo Treves, "il fatto che si possa imporre il voto di fiducia su una delega per ragioni che non hanno nulla a che vedere con il percorso parlamentare, ma semplicemente con il fatto che bisogna presentarsi con un pezzo di carta a un vertice europeo da sé medesimi convocato, mi ricorda tanto Monti che appunto impose quattro fiducie per ciascuno degli articoli dell'allora legge Fornero, perché lui doveva andare a Bruxelles a presentare il cosiddetto 'miracolo' ai partner europei e ai mitici mercati. Sappiamo tutti come è andata a finire dopo. Resta il fatto davvero grave che si sia voluto violentare, sostanzialmente, il Parlamento, nella possibilità di una discussione nel merito. Assistiamo al contesto della progressiva riduzione degli spazi di rappresentanza, che credo dovrebbe essere interesse un po' di tutti segnalare. Invece vedo che il principale garante della Costituzione, il presidente della Repubblica, addirittura ha detto che questo testo è un passo avanti. il rischio di violenza alla democrazia sembra che incomba anche sul voto alla Camera, visto che anche lì è probabile si proceda con il voto di fiducia, forse addirittura con qualche aggravante, a giudicare dalle parole del ministro del Lavoro, che ha detto: 'Noi ascoltiamo tutti, ma poi decidiamo'. Capisco che Poletti forse si ricorda come dirigeva la Lega delle cooperative, ma oggi, per l'appunto, sta facendo un altro mestiere e forse è bene che se lo ricordi". 

L'Istat dice oggi che il Pil in Italia non cresce più dal 2011, anzi continua a diminuire. "I dati sempre negativi – ha osservato Treves – sono la conferma che non si sta facendo abbastanza, non si va nella direzione giusta. In realtà, purtroppo, la riduzione dei tassi di crescita, anzi la crescita negativa dell'economia, si traduce per noi e per le persone che vogliamo rappresentare in drammi che si cumulano uno sugli altri, sia dal punto di vista del potere d'acquisto sia dal punto di vista dell'occupazione. Quindi, è evidente che non commentiamo con gioia questi dati. Come Cgil, da sempre ripetiamo che una politica fatta di austerità e di tagli, impostata su una base produttiva ed economica fragile, produce esattamente tale paradosso, in cui in realtà noi siamo quelli che abbiamo più problemi dal punto di vista del posizionamento economico a livello internazionale, perché non abbiamo investito in ricerca e quindi non riusciamo a competere sulla fascia alta. Nel contempo, subiamo la concorrenza dei paesi, chiamiamoli così, emergenti, e noi siamo esattamente il vaso di coccio tra vasi che sono ancora di ferro. O si affronta tutto ciò, come il Piano del lavoro e la strategia della Cgil cercano di suggerire, oppure se continuiamo a pensare che si possa ripartire solo attraverso agevolazioni fiscali e tagli ai servizi, perché questa è la composizione della futura Legge di stabilità, su cui oggi alle 18 il Consiglio dei ministri darà il via libera, temo che i risultati non saranno all'altezza". 

Tra gli ultimi annunci fatti da Renzi, c'è quello di sgravare le imprese dai contributi per le nuove assunzioni per un periodo di tre anni. Per i lavoratori, quali sono gli effetti di tale misura? "Sono di una grandissima confusione – ha risposto il leader di Nidil –, forse perchè al Presidente del Consiglio non hanno spiegato che in Italia esiste già una tipologia d'impiego, sostanzialmente sgravata di impegni contributivi nei confronti delle imprese, ed è a tempo indeterminato, e si chiama apprendistato. Avviene questo, perché ci deve essere un impegno formativo da parte dell'impresa e quindi un investimento a medio-lungo termine. Tutti quanti gli indicatori ci dicono che l'apprendistato ha sofferto più di tutti la concorrenza della progressiva acausalità del contratto a termine e delle altre tipologie di impiego precarie. Una nuova misura di agevolazione senza un riordino e una semplificazione con cancellazione delle tipologie precarie rischia di essere un ulteriore elemento di confusione. Con questo, non voglio dire che non sia importante agevolare le assunzioni a tempo indeterminato, ovviamente, però bisogna farlo in un quadro coerente. Da più parti, si dice che per fare questa operazione sarebbe stato stanziato nella Legge di stabilità un miliardo. Ma tale cifra non copre la quota di nuove assunzioni che presumibilmente si faranno nell'arco di un anno. Quindi, delle due l'una: o non abbiamo ben chiaro ancora l'argomento, oppure si tratta, come purtroppo Renzi ci ha abituati a fare, di uno spot pubblicitario a cui non corrisponderà gran che".

"Già in passato – ha proseguito Treves –, penso al governo Letta con la misura contenuta nella legge 99, si era immaginato di incentivare le assunzioni a tempo indeterminato. Il punto è che tu puoi incentivare finché ti pare, ma, o c'è una ripresa dell'economia che il pubblico determina, attraverso una leva che si chiama investimenti, ce lo ha spiegato un signore nel 1936, Keynes; oppure, possiamo pensare a tutte le agevolazioni del mondo per i privati, ma se non riparte complessivamente l'economia, e nessuno farà mai la prima mossa, perché pensa sempre che lo debba fare qualcun altro, il rischio che il tutto si riduca a un'incentivazione fittizia è piuttosto reale. Oltretutto, se il lavoro non c'è, perché le imprese dovrebbero assumere? Anzi, proprio perché il lavoro e le prospettive economiche sono incerte oggettivamente, al di là degli aiuti che dà il legislatore, le imprese sono più orientate ad assunzioni a termine, perché almeno uno dice 'beh, intanto copro questa leggera ripresa, poi si vedrà'. Se, per giunta, trovano un legislatore che dice: 'Sai che c'è? Ti levo anche l'obbligo di spiegare la causale, per cui sei proprio tranquillo'. In tal modo, diventa poi complicato rendere ancora più competitiva un'assunzione".

La politica parla in gergo calcistico di lavoratori di serie A, B, C, e via discorrendo. Per evitare classifiche di questo tipo, Nidil ha lanciato una petizione con lo slogan 'Lo voglio anch'io', con l'obiettivo di estendere a tutti i precari e gli atipici lo Statuto dei lavoratori. "Secondo me – ha precisato Treves –, siamo di fronte a un punto piuttosto bizzarro del nostro dibattito pubblico. Si dice: "Lo Statuto dei diritti dei lavoratori ha 44 anni e quindi è vecchio". La domanda che uno si dovrebbe fare è: "Nei dieci comandamenti c'è scritto 'non uccidere', e gli ebrei hanno festeggiato 5.575 anni dalla creazione. Allora? Altro che vecchio. Ricordo il senatore Ichino, che a proposito di revisione dell'articolo 4 della legge 300, quello che vieta i controlli a distanza da parte dell'impresa nei confronti dei propri lavoratori, ha sbraitato davanti all'assemblea dei giuslavoristi italiani: "Pensate, questa norma risale a quando non c'erano nemmeno le fotocopiatrici". Ora il problema non è che l'evoluzione tecnologica determina l'obsolescenza di un diritto. Tu, datore di lavoro, non puoi, salvo che non ci sia un accordo sindacale che ti concede questa facoltà, controllare, nel senso di spiare cosa fanno i tuoi dipendenti. Con l'evoluzione tecnologica, questo problema non è diventato inutile. Bisogna prendere i capisaldi dello Statuto: lavorare ed essere retribuiti per le mansioni che si svolgono; avere il diritto di conoscere le ragioni per cui eventualmente si viene licenziati per poterle contestare; avere il diritto alla propria rappresentanza sindacale; avere la possibilità di esporre le proprie ragioni; non essere perseguiti per le opinioni che si professano, per la religione che si professa, per l'appartenenza, per la derivazione territoriale da cui si proviene. Tutti questi principi sono invecchiati per il fatto che sono stati istituiti nel 1970?"

"Certo – ha aggiunto il numero uno di Nidil –, bisogna fare in modo che i principi siano adeguati ai problemi che il paese sta affrontando. Penso all'articolo dello Statuto che parla di lavoratori studenti, e dice che l'impresa deve favorire con orari adeguati il fatto che questi lavoratori possano dare gli esami. 44 anni fa era una cosa molto importante, da cui nacquero le 150 ore. Oggi stiamo parlando di un diritto alla formazione, all'aggiornamento permanente. Allora usiamo questo seme che la legge 300 con lungimiranza aveva lanciato e aggiorniamolo, così come una serie di diritti che il legislatore del 1970 dava per acquisiti, perché erano diritti sanciti in altre leggi, come il diritto alla copertura economica nel periodo di malattia, il diritto alla copertura economica nel periodo di maternità, il riposo obbligatorio, che allora era sinonimo di ferie, perché stavano parlando di un lavoro prevalentemente dipendente. Ecco, questi diritti rendiamoli universali ed esigibili da parte di tutti, sia di chi è un lavoratore dipendente sia da parte di chi è genuinamente un lavoratore di natura autonoma. Questo è il senso della nostra petizione ed è la risposta che pensiamo giusto dare a questa idea propagandata per primo dal Presidente del Consiglio e poi ripetuta come un mantra dai suoi imitatori, lo Statuto è vecchio e chi lo difende, difende quel mondo del lavoro dell'impiego per tutta la vita, a tempo indeterminato. Cioè, la geremia di Ichino, che continua a pensare che quello è il mondo del lavoro che il sindacato difende. Il sindacato, e Nidil ne è una piccolissima dimostrazione, difende la natura autonoma dal punto di vista dei lavoratori nella multiforme espressione delle loro vite lavorative".

Ancora sui precari, "in base all'organizzazione del lavoro di una determinata impresa o di un determinato settore, quello che è proprio dell'attività normale di quell'impresa e di quel settore, non può che essere considerato lavoro subordinato. Ragion per cui, quanti svolgono, come nel caso di Marta, le mansioni impiegatizie in uno studio di avvocati, con la gradualità necessaria, vanno riportati all'inquadramento corretto del lavoro dipendente previsto, in questo caso, dal contratto degli studi professionali. Invece, a quanti hanno un rapporto di lavoro autonomo, nel senso che non svolgono le attività tipiche dello studio, ma innovano un contributo temporaneo a quell'attività, bisogna riconoscere, accanto alla natura genuina della loro prestazione, i diritti propri che non hanno. Penso al diritto alle ferie, alla maternità, alla malattia, alla formazione e all'aggiornamento: esattamente le cose che vorremmo che nella legislazione fossero riconosciute, e da qui appunto la petizione. A differenza di quanti chiacchierano, speriamo di dimostrare che queste cose fatte in passato si possono continuare a fare con la mobilitazione, la lotta, la vertenzialità, ma anche con un disegno di cambiamento, che è compito del sindacato promuovere".