Il 18 ottobre è morto Andrea Zanzotto. Variamente celebrato, non v’è dubbio che la migliore delle celebrazioni sia stata approntata dagli Oscar Mondadori, col mandare in libreria il volume contenente tutte le sue poesie, che amplia e aggiorna il Meridiano del 1999: il poeta e critico Stefano Dal Bianco ha portato la sua bella introduzione fino alle raccolte pubblicate in questi anni. L’esordio di Zanzotto era arrivato nel 1951, sicché la sua opera può dirsi, anche per le date, un percorso dentro la seconda metà del Novecento, affacciata sul primo decennio del nuovo millennio.

E davvero, leggendo e rileggendo la poesia di Zanzotto è possibile ripercorrere un profilo particolare dei decenni passati. Tutte le inquietudini di tanti anni sono affrontate con versi talvolta ardui, ma nutriti di necessità. E Zanzotto ha messo a disposizione della sua poesia tutto quello che il tempo gli presentava: la scienza dell’anima (quanto Lacan nella sua opera!) e la filosofia, i fiori e le mani contadine e il vino. Ma nonostante tanta apertura all’Europa e al mondo, Zanzotto è un poeta che ha voluto rimanere ancorato alla sua terra: e il suo paese, Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, è stato non solo il fondale di tante sue composizioni, ma il luogo dal quale vedere il mondo intero come in un microcosmo dalle infinite risonanze.

Allo stesso modo, parlando di sé, Zanzotto ha parlato di una varietà di modi di stare al mondo, e dunque di essere uomini. Come è giusto per un poeta, ha colto nel linguaggio il fatto primario. Così la sua poesia è anche una meditazione sul linguaggio, sui rapporti che si instaurano tra l’io e gli altri, il mondo. Tutto ciò che della vita e della morte può esser detto può essere riassunto in una particella grammaticale che, apparentemente inerte, può essere visibile agli occhi e alla sensibilità della poesia. Di un conoscente scomparso, in una sua antica poesia, Zanzotto così dice: “Ho pensato / a te che ora / non sei … / neppure il né che negava / e che per quanto s’affondino / gli occhi miei dentro la sua cruna / mai ti nega abbastanza”. La cruna del “né”: il piccolo passaggio dentro una vocale. E tutto è detto.