A due anni dall’uscita delle “Verità oscurate”, Toni Sirena, giornalista già caporedattore del Corriere delle Alpi di Belluno, ritorna in libreria con “La montagna assassina. Innocenti e colpevoli dei 'delitti' di Alleghe”. Il volume è stato presentato lo scorso 16 dicembre a Belluno nella sede dell'editore Egidio Fiorin (Colophon) con l'intervento dell'avvocato Franco Tandura. Il penalista feltrino, in un’ora e mezza abbondante di arringa, fondata sull’analisi millimetrica delle carte processuali effettuata da Sirena, sposa la tesi dell'autore secondo la quale i due processi sui delitti di Alleghe avrebbero potuto concludersi in modo diverso, se le indagini fossero state più approfondite. Anziché fermarsi alle confessioni degli imputati, peraltro ritrattate, e rese con la vecchia procedura senza l’assistenza di un avvocato difensore. Ma i giudici erano vincolati alle carte e, come sottolinea Sirena nel libro, sulla base degli atti a disposizione, frutto di indagini errate, i giudici non potevano che assolvere il Verocai. Che invece Sirena ipotizza come autore del duplice omicidio a scopo di rapina dei coniugi Luigi e Luigia Del Monego gestori del Bar Enal, uccisi nel novembre del 1946 mentre rientravano a casa con l’incasso della giornata. A sostegno della sua ricostruzione, Sirena evidenzia una serie di errori accaduti nel corso delle indagini. Il primo, clamoroso, è quello della sostituzione dell’arma del delitto dei coniugi Del Monego. Anziché la Walther P38 calibro 9 lungo (pistola che era nella disponibilità del Verocai), ai giudici arriva la perizia balistica di una Beretta calibro 9 corto, senza che nessuno sollevi obiezioni. Un altro indizio trascurato è quello delle orme lasciate dall’assassino nell’orto. Che erano tipiche di una suola in gomma, a quel tempo rara, e che poteva corrispondere alle scarpe viste indossare al Verocai. E la fotografia di famiglia, che dalla borsetta della vittima Luigia Del Monego, a distanza di anni, compare nelle mani di Michele Fontanive, amico del Verocai senza spiegazioni plausibili. Insomma, un quadro processuale, che fa pensare all’errore giudiziario. Se non addirittura alla manipolazione. Perché c’è anche un inquietante retroscena politico della vicenda. Il Verocai aveva combattuto per la Repubblica di Salò, ed era stato condannato in contumacia dalle Corti straordinarie nel dopoguerra a 27 anni per delitti commessi dal 1943 al ‘45. Evaso dal carcere di Treviso e viveva tranquillamente ad Alleghe a casa della sorella. E questo fa pensare a una sorta di lasciapassare di cui poteva disporre il Verocai. Perché potrebbe essere stato reclutato nella nascente struttura segreta paramilitare “Gladio”, pronta all’intervento nel caso l’Italia fosse caduta in mano alle forze comuniste. Il De Biasio, invece, (uno dei tre condannati all’ergastolo) era un ex capo partigiano. E all’interno della Resistenza c’era una situazione conflittuale tra i vari movimenti partigiani. Inoltre, come ha sottolineato l’avvocato Tandura, “la guerra partigiana era stata indubbiamente guerra patriottica, ma ha lasciato dietro a sé una serie di desideri di rivalsa come accade nelle guerre civili”. Oltre a questi elementi, Tandura evidenzia anche quello che chiama una “genesi letteraria”. Ossia la pubblicazione nel ‘52 di un articolo di Giovanni Comisso e poi del libro I misteri di Alleghe da Sergio Saviane. Dove le prime due donne morte nel 1933 sono collegate in una trama col duplice omicidio del 1946, e un clan che avrebbe orchestrato il massacro. Mentre nel libro di Sirena, confortato dagli esami autoptici, le prime due donne trovate morte, la cameriera Emma De Ventura (maggio 1933) e Carolina Finazzer (dicembre 1933) rinvenuta nel lago, si sarebbero suicidate. E le loro morti non sarebbero in nessun modo legate al duplice omicidio del 1946.