Il 7 giugno a Roma il seminario sul “Giornalismo da salvare”, presso il Centro di Studi Americani, in via Caetani a partire dalle 15.00 (il pdf dell'appuntamento).

Il dibattito sul futuro del giornalismo cartaceo è ormai esploso a livello internazionale, vedendo contrapposte visioni più o meno ottimistiche. Da una parte c’è chi sostiene che le aziende giornalistiche stiano perdendo pubblicità, lettori, valore di mercato e che il destino per la carta stampata sia quello di una morte annunciata. Tra gli altri, Andrew Sullivan, giornalista e scrittore britannico, che nell’articolo titolato “Un mondo senza giornali” (2008), ha così messo in guardia i lettori: “In ogni caso godetevi la carta stampata dei quotidiani: è destinata a sparire molto prima di quanto quasi tutti gli esperti prevedevano”.

Ancora prima di Sullivan, Philipp Meyer, premio Pulitzer e docente di storia del giornalismo dell’Università del North Carolina, aveva espresso il proprio scetticismo sul futuro dei giornali nell’ormai celebre Vanishing Newspaper (prima edizione nel 2004): evidenziando gli andamenti critici della diffusione dei quotidiani in occidente, dovuti a un generale cambiamento delle abitudini e dello stile di vita dei lettori, ne aveva individuato la data di estinzione fra 35 anni. Dall’altra parte, tuttavia, vi sono anche letture meno catastrofiste, che interpretano le trasformazioni dell’editoria e del sistema informativo nel suo insieme, come una concreta possibilità di rinnovamento delle formule e dei modelli seguiti fino ad ora.

Il tema, tutt’altro che scontato, è anche al centro di un dibattito in corso negli Stati Uniti, titolato “The Future of journalism”, in cui oltre 70 tra giornalisti ed esperti di media, si interrogano sui cambiamenti del sistema mediatico americano conseguenti sia all’avvento di internet sia all’attuale fase di crisi economica.

In realtà, le trasformazioni che interessano oggi il mondo dell’informazione e la compiuta affermazione della cosiddetta era digitale, se da un lato mettono in discussione certezze e paradigmi consolidati, velocizzando la fine di numerose testate cartacee, contemporaneamente sono anche portatrici di nuova linfa ed energia ‘rinnovatrice’. Per questo non è corretto parlare di “fine del giornalismo”, ma piuttosto di una sua “ricostruzione”, come recita il titolo del report di Leonard Downie e Michael Schudson, The Reconstruction of American Journalism (ottobre 2009).

Modelli di business
Sul tema si confrontano due principali approcci, sintetizzabili, per esigenza di semplificazione, nel modello Murdoch, che propone il pagamento delle news online, e nei cosiddetti modelli “alternativi”, quali il crowdsourcing e crowdfunding, il citizen journalism o il giornalismo partecipativo.

Nel dibattito sui sistemi di pagamento dei contenuti online, le ipotesi attualmente in studio sono molteplici, tra cui vale la pena si ricordare: la formula cosiddetta del Financial Times, ovvero l’abbonamento mensile dopo un certo numero di visite gratuite; l’introduzione di abbonamenti personalizzati (pass giornalieri, abbonamenti mensili, abbonamenti per un’offerta "full-access", abbonamenti per contenuti specialistici, etc.); le entrate realizzate attraverso la diffusione delle notizie sui device di nuova generazione (Kindle, iPad, iPhone, ecc.); il modello dei micro-pagamenti, in cui gli utenti versano pochi centesimi per l'accesso a ciascun elemento informativo. Quest’ultimo caso richiama il modello impiegato da servizi come iTunes, che basandosi sul concetto di “coda lunga”, consentono agli utenti di acquistare una singola notizia (o brano musicale) a costi decisamente irrilevanti, senza mettere in vendita l’intero giornale o l’intero Cd musicale.

Tuttavia sono in molti, anche dagli ambienti internettiani, a manifestare seri dubbi sull’idea di far pagare ciò che finora gli utenti di Internet sono abituati ad acquisire gratuitamente, e lo stesso direttore del Guardian ha chiarito il punto affermando: “Più riusciremo a tenere il Guardian all’interno del modo in cui il mondo parla e si connette e più riusciremo a trarne profitti. Non si tratta di ‘noi’ e ‘loro’, dei giornalisti e dei lettori, ma di cosa potremmo fare insieme utilizzando tutte le potenzialità interattive del web 2.0. Perché, infine, quando sei in dubbio, chiedi ai lettori”. In questo filone si collocano una serie di esperienze basate sul coinvolgimento diretto degli utenti dal basso, sia nella veste di cittadini-reporter (crowdsourcing), che nella veste di finanziatori (crowdfunding). Prendono così piede nuove formule di giornalismo partecipativo e dal basso, come Pro Publica (Paul Steiger, con la sua Fondazione da dieci milioni di dollari di budget e i suoi 35 giornalisti), Spot Us, che si presenta come un’iniziativa pioneristica nel campo del community funded reporting e, il suo corrispettivo in Italia, You Capital.

Per cosa si è disposti a pagare?
Il digitale non solo consente la personalizzazione dei contenuti, ma anche la possibilità di supportare elementi informativi di diversa natura e di consentire un livello spiccato di interazione con gli utenti. Si potrebbe così pensare a una serie di “servizi aggiuntivi” per le news online, concepiti non solo come “integrativi” rispetto al testo scritto (che resterebbe il nucleo informativo dominante), ma addirittura come informazioni a se stanti, non meno importanti del testo-articolo: simulazioni, data visualization, mappe interattive, consentirebbero di sintetizzare una vasta mole di informazioni in una soluzione grafica facilmente interpretabile, offrendo anche agli utenti l’opportunità di personalizzare i grafici in base alle specifiche esigenze.

In questa direzione si inseriscono alcune sperimentazioni già in corso d’opera, quali i laboratori per la grafica interattiva e i data visualization avviati al New York Times, le “living story” introdotte da Google, l’esperienza di Wired (un caso tra i più significativi di giornale cartaceo che diventa digitale), le suggestioni sui “mediagrammi di informazione” (James Spanfeller).

In breve, il futuro dei giornali è affidato innanzitutto alla loro capacità di rinnovamento. Se saranno in grado di sfruttare fino in fondo i vantaggi derivanti dalle tecnologie digitali, potranno senz’altro ambire a recuperare i lettori persi negli ultimi anni. Al momento non vi sono formule vincenti, l'era delle sperimentazioni è destinata a continuare ancora a lungo.