Sono 54 negozi, circa 800 tra lavoratrici e lavoratori, quelli che passeranno dal marchio Coop all'insegna Tigre. La notizia è la cessione dei punti vendita, a Roma - la grande maggioranza - e in tutto il territorio del Lazio, il compratore è l'azienda Magazzini Gabrielli. Come spesso in operazioni di questo genere, si apre una serie di problemi che riguardano i lavoratori.

I sindacati di categoria, Filcams, Fisascat e Uiltucs di Roma e Lazio, hanno svolto il primo incontro con la nuova proprietà. La trattativa continua l'11 aprile. Al termine della riunione iniziale si sono dichiarati insoddisfatti. Nello specifico, è emerso che gli 800 addetti, dipendenti oggi di Distribuzione Roma con applicazione del contratto nazionale della distribuzione cooperativa, passeranno alla Magazzini Gabrielli Spa che vanta una rete di 200 punti vendita in franchising e 50 in gestione diretta sul resto del territorio nazionale. 

Armonizzare i trattamenti

L'azienda ha dato garanzie solo sul mantenimento di alcune condizioni retributive già maturate. Manca però la volontà di armonizzare la parte normativa: in altre parole, i lavoratori passerebbero dal contratto della distribuzione cooperativa, che applica la Coop, a quello della distribuzione moderna organizzata, che applica Federdistribuzione, con condizioni diverse e conseguenze anche economiche. I due testi infatti hanno trattamenti divergenti su molti punti, per esempio l'istituto della malattia, le ferie e i permessi. I sindacati chiedono l'armonizzazione dei trattamenti.

Da parte loro, Magazzini Gabrielli e Distribuzione Roma vogliono procedere velocemente, richiamando questioni formali sull’iter della procedura, di fatto indicando il 17 aprile come data del primo passaggio di punto vendita. Le imprese non specificano le tempistiche con cui si produrranno gli effetti dei passaggi, a garanzia mantenimento delle condizioni individuali e collettive dei lavoratori.

La coop che vende

Abbiamo fatto il punto con Fabio Fois, segretario regionale della Filcams Roma e Lazio che segue la vicenda. "Il primo elemento è la preoccupazione - esordisce -: c'è la più grande cooperativa della distribuzione alimentare che cede 54 punti vendita. Le voci si rincorrevano da tempo, ma non avevano mai parlato apertamente di cessione, poi ci è stato comunicata ufficialmente la vendita del ramo d'azienda".

Dall'incontro è arrivata l'assicurazione che non ci saranno problemi occupazionali: i lavoratori passeranno tutti a Gabrielli e alle stesse condizioni. "Questo è il titolo, ma non è proprio così - spiega il sindacalista -: noi abbiamo chiesto l'armonizzazione tra contratti, fondamentale per garantire davvero le medesime condizioni, altrimenti avremo situazioni diverse su molti punti".

Un accordo quadro

La seconda richiesta è un accordo quadro. La proprietà deve impegnarsi a fare impresa e investimenti a lungo termine nel Lazio, senza cedere i dipendenti in franchising. "Magazzini Gabrielli afferma che assumerà tutti direttamente - prosegue Fois -. Non esclude però, nel corso del tempo, che una volta realizzato il funzionamento dei negozi si possa cedere una parte dei punti vendita a società e imprenditori privati, che a loro volta assumono i lavoratori in altre aziende. Nella catena di passaggio si perde la garanzia del mantenimento delle condizioni di lavoro. Per dirla chiaramente, nessuno obbliga le nuove aziende ad applicare il contratto nazionale e proprio in tali operazioni si annida il rischio di contratti pirata. Chiediamo quindi l'assunzione diretta e un accordo quadro che stabilisca già, in caso di ulteriori cessioni, che i lavoratori mantengano le condizioni contrattuali precedenti. È Magazzini Gabrielli, l'impresa madre, che deve assumersi le responsabilità".

La tendenza preoccupante

C'è poi un terzo tema, più generale ma non meno importante. "Questi tipi di trasferimenti nel settore si sono ormai moltiplicati: lo diciamo da mesi, così la situazione dei diritti diventa ingestibile. Non basta mantenere il posto, serve anche la qualità del lavoro - conclude -: le persone tengono l'impiego ma magari le condizioni peggiorano a tal punto che poi decidono di dimettersi. Per questo siamo preoccupati, non si può fare dei lavoratori carne da macello".