“Mi sono rotto di darvi il mio territorio, la mia salute, la mia famiglia. Per non avere niente in cambio”. Nelle parole di uno dei lavoratori della Portovesme srl, l’orgoglio di una lotta difficile da spezzare, la dignità e la frustrazione per l’ennesima crisi che travolge il Sulcis Iglesiente. La fabbrica di piombo e zinco, nel Sud Sardegna, è in bilico tra la dismissione e una riconversione tutta da immaginare. E rischia di bruciare millecinquecento buste paga: uno tzunami in un territorio già compromesso dalla crisi ormai decennale dell’industria, come già testimoniano le storie dell’Eurallumina e di quella che fu l’Alcoa.

L’energia e i suoi costi sono da sempre la spina nel fianco dell’intera area industriale e, da un anno e mezzo, anche della Portovesme srl. Dopo decenni di profitto, la multinazionale svizzera Glencore, proprietaria dello stabilimento, ha iniziato a dismettere pezzi importanti di produzioni. La protesta degli operai diretti e degli appalti è stata un crescendo, fino alla stoica salita sulla ciminiera del sito dei quattro lavoratori che hanno portato sulle loro spalle, a cento metri d’altezza, le paure e le speranze di tutti i colleghi.

Il loro gesto ha sortito l’immediata convocazione della videoconferenza con il ministero delle Imprese e del Made in Italy, che i sindacati hanno seguito dalla fabbrica, con i lavoratori nel piazzale e i quattro operai asserragliati sulla cima della ciminiera. Dopo gli impegni presi dal governo nazionale, hanno deciso di concedere una tregua e sono scesi: un atto di fiducia che non deve, non può, essere tradito.