Infortunio mortale in un'azienda tessile in provincia di Prato: un'operaia di 22 anni, madre di una bambina piccola e residente a Pistoia, è deceduta questa mattina, intorno alle 10, mentre lavorava in una fabbrica tessile a Montemurlo, in via Garigliano, la Orditura Luana, di cui era addetta da oltre un anno.

La giovane stava lavorando a un orditoio quando è rimasta agganciata al rullo, finendo intrappolata nel macchinario. A pochi metri un suo collega, di spalle, non si è accorto di nulla né ha sentito richieste di aiuto. Appena si è reso conto di quello che era accaduto ha chiamato i soccorso.

Giunto sul posto il medico del 118 non ha potuto fare altro che constatarne il decesso. I vigili del fuoco, con una lunga e complessa operazione, hanno poi estratto il corpo della vittima.

Il macchinario è stato posto sotto sequestro dalla magistratura, insieme all'area dove è avvenuta la tragedia.

Tre mesi fa l'ultima vittima del lavoro sul territorio. Drammatica coincidenza, anche in quel caso si trattava di un operaio del tessile poco più che ventenne, pratese di origine tunisina, schiacciato in un macchinario per la filatura cardata a Montale.  

“Una tragedia del lavoro, una tragedia umana che ci sconvolge - ha detto Gessica Beneforti della Cgil Toscana -. Non essere riusciti a fare abbastanza per evitarla ci dilania come sindacato e come persone. Di nuovo siamo a chiedere una più incisiva assunzione di responsabilità collettiva, a partire dalle azioni delle istituzioni e degli organi a cui compete il dovere di indirizzo, vigilanza, controllo e sanzione, e dalla necessità di contrastare con forza l’idea sempre più marcata che la sicurezza sia un costo e non un investimento prima di tutto sulla vita”.

“Morire a 23 anni di lavoro e lasciare una piccola creatura - ha detto Barbara Orlandi, del Coordinamento Donne Cgil Toscana -, morire dentro l’ingranaggio dell’orditoio, quella macchina che permette di preparare la struttura verticale della tela che poi costituirà la trama del tessuto, appunto l’ordito, dal quale deriva il termine ordire. Possiamo davvero assumerci la responsabilità di una cospirazione, tanto è ingiusto e insopportabile morire di lavoro. Morire di lavoro a 23 anni, in una azienda e per colpa di un macchinario, sembra di raccontare una realtà diversa da quella che dipingono i nostri e le nostre giovani svogliati, insofferenti, disadattati e stanchi. C’è chi lavora e quel lavoro se l’è portata via. La responsabilità di far morire di lavoro riguarda tutti e tutte noi. Non è sfortuna, non è sventura e non è neanche solo colpa di tutti quei soggetti preposti a salvaguardare la salute e la sicurezza di chi lavora. Riguarda la responsabilità collettiva di tollerare la superficialità e l’incuria, di non accanirsi abbastanza per il rispetto delle regole, degli orari di lavoro, dell’accurata manutenzione delle strumentazioni dei macchinari, sempre e comunque. Perché le tragedie accadono e allora, solo in queste circostanze, pensiamo a come avremmo potuto evitarle. Un affettuoso saluto alla giovane lavoratrice, un abbraccio ai suoi genitori e alla sua piccola bimba, promettendole di non stancarci mai di vigilare sulla sicurezza di chi lavora”.

“E’ inconcepibile continuare a morire sul lavoro. Ancor più inaccettabile la morte di lavoratori giovanissimi, oggi di una giovanissima madre”. Lo scrivono in un comunicato Cgil, Cisl e Uil e Filctem, FemcaUiltec di Prato, nel quale denunciano per l’ennesima volta come esistano ancora luoghi di lavoro lontani dagli standard di sicurezza previsti. “I sindacati pratesi esprimono le loro condoglianze e i sentimenti più vivi di vicinanza ai familiari della vittima. La tragedia di stamani è, dall’inizio dell’anno, il secondo incidente mortale sul lavoro nella nostra provincia. Ed è il secondo che ha come vittime lavoratori giovanissimi. Se le cause della tragedia saranno all’esame dell’autorità competente, alla quale spetterà stabilirne circostanze e responsabilità, non possiamo non rilevare che ancor oggi si muore per le stesse ragioni e allo stesso modo di cinquant’anni fa: per lo schiacciamento in un macchinario, per la caduta da un tetto. Non sembra cambiato niente, nonostante lo sviluppo tecnologico dei macchinari e dei sistemi di sicurezza. Come se la tecnologia si arrestasse alle soglie di fabbriche e stanzoni. Dove si continua a morire e dove, troppo spesso, la sicurezza continua ad essere considerata solo un costo invece che una condizione imprescindibile. La morte di due ventenni nell’arco di tre mesi deve far riflettere sugli investimenti operati in termini di formazione e di acquisizione di competenze. Non è sufficiente constatare che i giovani sono i più colpiti dalla crisi provocata dalla pandemia, bisogna investire su di loro e offrire loro sbocchi occupazionali che non siano più precari o insicuri".

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