Il Mudec riapre ma le lavoratrici e i lavoratori restano disoccupati. E così per loro il Primo Maggio si trasforma in una festa al contrario, la festa del non-lavoro. A Milano il Museo delle culture riavvia le attività inaugurando due importanti mostre, ma i nove dipendenti del bookshop sono stati lasciati a casa per un cambio di appalto in cui non sono state rispettate le norme.

 

 

 

“La nuova società che ha preso la gestione del servizio ci ha proposto un contratto ‘a chiamata’ quando avevamo un contratto a tempo indeterminato – spiega Anna Candido, responsabile del bookshop e delegata Filcams Cgil -. Cioè precarietà, paga molto più bassa, condizioni peggiorative, insomma una proposta inaccettabile. E infatti l’abbiamo rifiutata in blocco”. È la C2C, azienda del gruppo Gi Group, che si è aggiudicata il servizio, che ha rifiutato di effettuare la procedura di cambio appalto e quindi di assumere i lavoratori. Ma non è l’unica ad avere responsabilità in questa vicenda. Ci sono i committenti, cioè la 24Culture, società del Sole 24 Ore, che non si è preoccupata di inserire una clausola sociale che garantisse il passaggio. E c’è il Comune di Milano, che ha preso precisi impegni per la qualità e la tutela negli appalti nei protocolli sottoscritti nel 2018 e del 2021.

“Sono anni che svolgiamo con professionalità il nostro lavoro – prosegue Anna, una laurea triennale in beni culturali e una specialistica in storia dell’arte -. Però sembra non interessino a nessuno competenza, preparazione e passione”. I loro “skill” i nove del Mudec li mettono in campo il Primo Maggio nel presidio organizzato davanti al museo. Hanno scelto sei opere simbolo della resistenza proletaria del XIX e XX secolo, le hanno riprodotte e affisse ai muri perimetrali, e rimangono a disposizione del pubblico per spiegarne significato, contesto, valore. Per loro un triste Primo Maggio, ancora una volta di lotta e di protesta.