Alla fine la rottura c’è. Federmeccanica dice no: nessun aumento. E i metalmeccanici reagiscono con uno sciopero simbolico: un’ora a fine turno. Lo fanno a partire da Torino, città simbolo per chi ha fatto di acciaio e motori il proprio lavoro. Le tute blu incrociano le braccia alla Dana Graziano e alla U-Shin, all’Avio Cost e alla Sogefi, ma anche alla Valeo e alla Tubiflex. “Una risposta indicativa – commenta il segretario generale della Fiom Cgil torinese Edi Lazzi – in una città come la nostra martoriata dalla crisi dove, nonostante il peso della cassa integrazione, prevale tra i lavoratori la consapevolezza che si andrà avanti solo avendo un piano generale e che, in questo piano, chi lavora deve avere la giusta retribuzione”.

Il contratto dei metalmeccanici è scaduto ormai da un anno e gli addetti del settore sono tra quei 13 milioni di lavoratori privati che aspettano il rinnovo. La trattativa ripresa a metà settembre è apparsa subito in salita, complicata anche dalle ripetute prese di posizione di Confindustria che vuole pace sociale ma promette battaglia: contratto sì, ma salario zero.

“Invece noi, spiega ancora Lazzi, siamo convinti che proprio il salario sia centrale. I lavoratori hanno perso un pacco di soldi in questi anni e se si vogliono rilanciare i consumi non c‘è santo che tenga: bisogna rilanciare anche i salari. Sarà banale ma in caso contrario saranno in pochi a potersi permettere di comprare ciò che le aziende producono. Un discorso che vale anche per le auto.”

Eppure le tute blu di quella che un tempo era l’auto torinese per eccellenza non si fermano: Fca, infatti, è fuori dalla partita del contratto nazionale da quando ha scelto di uscire da Federmeccanica. È un’altra questione ma per Lazzi le cause storiche di quella divisione non esistono più. “Proprio oggi parlavo con un delegato e mi diceva che è ora di far rientrare anche Fca nell’alveo del contratto metalmeccanico. Che resti fuori è senza senso”.

Intanto dove si sciopera per il contratto le adesioni sono già alte. Si va da una media del 70% a un picco del 90% a conferma del fatto che i lavoratori “hanno pagato e pagano pesantemente la pandemia continuando a lavorare per sé e per tutto il Paese. Ora chiedono di essere ascoltati. Anche perché – conclude Lazzi – è vero che qui c’è l’Armageddon industriale ma ci sono anche eccellenze che non sono in crisi e che hanno continuato a guadagnare.  È tempo che venga riconosciuto il valore e il contributo dei lavoratori”.