Sono fisioterapisti, logopedisti, tecnici di radiologia, infermieri. Tutti i giorni si prendono cura dei pazienti in quelle strutture ospedaliere che spesso vengono considerate, erroneamente, pubbliche. Ma non hanno lo stesso contratto, né godono degli stessi diritti. I lavoratori della sanità privata accreditata aspettavano da quattordici anni il rinnovo del contratto, ma la corsa si è fermata a un passo dal traguardo. Aris e Aiop, che avevano sottoscritto la preintesa il 10 giugno scorso, si sono poi tirati indietro al momento della firma.

Nel presidio di oggi (5 agosto, QUI la fotogallery di Simona Caleo) davanti a Montecitorio, Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl, hanno chiesto all’Associazione religiosa istituti socio-sanitari e all'Associazione italiana ospedalità privata di rispettare gli impegni presi. “Padroni predoni con i soldi pubblici” è lo slogan scelto per la mobilitazione. La sanità privata accreditata rappresenta in diverse regioni, tra cui il Lazio, fino al 40 per cento dell’offerta sanitaria. In alcuni casi, anche in maniera esclusiva, come per la riabilitazione e le residenze sanitarie assistenziali. “Quattordici anni senza contratto. Il diritto di queste persone nasce dalla cura che mettono nel loro lavoro – ha detto in piazza il segretario generale della Cgil Maurizio Landini – ci hanno permesso di superare la fase più dura della pandemia, ma al momento di firmare il rinnovo, Confindustria si sottrae”.

I lavoratori delle strutture sanitarie accreditate sono stati in prima fila nella gestione dell’emergenza Covid, ma senza le tutele previste nel pubblico, per quanto riguarda la malattia. Lo stesso vale per il congedo di maternità e per la formazione professionale. Pur essendo obbligatoria, infatti, devono ricorrere alle ferie per poterla seguire, non avendo permessi riconosciuti per lo studio. Tra i tanti paradossi del sistema, c’è anche quello che vede in alcuni casi i lavoratori della sanità privata superare concorsi durissimi, così come i colleghi del pubblico, ma per condizioni di lavoro diverse. “Fatichiamo come loro e come loro abbiamo rischiato ogni giorno, combattendo contro il Coronavirus -  è il messaggio lanciato oggi dalla piazza – eppure siamo pagati e tutelati meno”. Ma ora sono stanchi di essere considerati eroi di serie B.