“Un licenziamento mascherato”: così Luca Barbetti, segretario generale della Filctem Cgil di Firenze, definisce la decisione della casa di moda Roberto Cavalli di trasferire lo stabilimento e i suoi 170 dipendenti, dalla storica sede di Sesto Fiorentino (Fi) a Milano, a partire dal primo settembre prossimo. Una scelta comunicata il 20 aprile scorso ai sindacati, che hanno indetto uno sciopero di otto ore e un presidio, denunciando anche “la mancanza di prospettive future per coloro che potrebbero decidere di trasferirsi nel capoluogo lombardo”. Per lunedì 22 giugno, è previsto un nuovo incontro tra sindacati e azienda, presso il tavolo di crisi istituito dalla Regione Toscana.

Insomma, qui si passa dalla grandeur al rischio di chiusura. Come si ricorderà, il brand dell’alta moda e del lusso, fondato nel 1970 dall’omonimo stilista fiorentino, raggiunse il successo mondiale negli anni Ottanta e Novanta, con la nascita di linee inedite come Just Cavalli e Angels & Devils, e più avanti con nuovi prodotti quali occhiali da sole, orologi e profumi, realizzati attraverso partnership e accordi di licenza. In quegli anni, il marchio arriva ad essere distribuito in trentasei Paesi in tutto il mondo. Segue un lento, ma inesorabile declino, fino al maggio 2015, quando Roberto Cavalli cede la griffe per il 90% al fondo Clessidra del gruppo Pesenti, che a fine marzo 2019 presenta domanda di concordato preventivo in continuità aziendale. Il 28 novembre scorso, la maison viene poi rilevata dalla Vision investments di Dubai, società controllata dal magnate Hussain Sajwani, che si accolla tutti gli oltre cento milioni di debiti pregressi della Cavalli.

Nell’incontro precedente fra azienda e sindacati, avvenuto l’11 giugno nella sede di Confindustria a Firenze, le parti hanno ribadito le proprie posizioni. La prima, non ha recesso dall’intenzione di chiudere l’impianto del capoluogo toscano per portare tutto il personale nella sede milanese; parimenti, Femca e Filctem sono rimaste fermamente contrarie all’operazione e nel rendez-vous hanno imposto il tema dell’impatto sociale, derivante dallo stop della fabbrica di Sesto Fiorentino, lanciando l’allarme.

Luca Barbetti è categorico: “Daremo battaglia per tutelare in qualsiasi modo lavoratori e lavoratrici. Siamo scesi in piazza al loro fianco e continueremo a farlo per protestare contro una decisione assurda, peraltro presa in maniera unilaterale dal management, senza condividerne accordi, processi e modalità d’intervento. Il problema di fondo è che l’azienda non ha un progetto: doveva presentare il piano industriale a fine 2019, poi slittato a marzo, quando è arrivata la pandemia. Andiamo tutti a Milano, ci dicono, ma a fare cosa, che laggiù non c’è neanche un impianto? In realtà, si va al buio, senza garanzie lavorative e senza conoscere le ragioni di prospettiva e di sviluppo del gruppo”.

Da novembre, i dipendenti sono tutti in cassa integrazione, diventata poi cig per Covid-19 a febbraio, che proseguirà fino al 30 settembre. “Per noi, è palese che l’operazione nasconda esuberi, oltretutto visti i tempi contingentati imposti dall’azienda: il 12 giugno sono già partite le prime lettere ai dipendenti, un vero e proprio aut aut, con il termine del 18 giugno per aderire o meno al trasferimento. Secondo loro, non c’è più possibilità di mediazione; noi rispondiamo che vogliono chiudere senza garanzie occupazionali. Ragion per cui, bisogna intavolare una trattativa, d’intesa con le istituzioni locali e regionali”, osserva il sindacalista.   

Tra i lavoratori, sconforto e preoccupazione si tagliano col coltello. “Per noi, è una sconfitta totale, perché già veniamo da precedenti riorganizzazioni. Nel 2015 eravamo più di trecento, oggi siamo ridotti a 170 – rileva Marco Vannuzzi, delegato Rsu Filctem della Roberto Cavalli –. Abbiamo alle spalle tre ristrutturazioni effettuate negli ultimi cinque anni. Nel 2016 si fece l’operazione inversa a quella di oggi, da Milano a Firenze, chiusa con novanta uscite volontarie incentivate. Ma in quel caso il trasferimento era giusto, perché il cuore della Roberto Cavalli è sempre stato qui da noi, e oltretutto non si parlava di chiusure come ora”.

“Per giunta – prosegue il delegato sindacale –, andare a Milano adesso, significa che al danno si unisce anche la beffa, perché ci trasferiamo in un territorio dove sono presenti la metà dei casi del contagio. Ciò che ci lascia stupefatti è che Vision - fondo multimiliardario, peraltro - ha comprato la Roberto Cavalli il 28 novembre 2019 e nell’aprile scorso, dopo meno di cinque mesi, ha annunciato la chiusura di Firenze, dove c’è il know how della produzione, mentre noi tutti ci aspettavamo che l’acquisto preludesse a un implicito rilancio del gruppo”.

“Che si nasconda una drastica riduzione del personale è palese – precisa Vannuzzi –, perché non esiste azienda che non tratti con i propri dipendenti un trasferimento, nè ci sono le ragioni tecnico-organizzative che comprovino l’operazione. Ci dicono che la loro decisione è irreversibile e immodificabile, perché in realtà hanno già scelto cosa fare. Ma se è così, si apra la procedura di licenziamento. Magari alla fine diventeremo un’azienda digital commercializzata, che si limita a vendere sul mercato senza produrre nulla. Per questo, me la prendo anche con il Governo, che permette di acquisire marchi italiani storici e poi non se ne cura, è vergognoso”.      

Simona Casali, delegata Rsu Filctem della Roberto Cavalli, si sofferma sulle procedure adottate dall’azienda. “Quello che hanno messo in atto è un ricatto bello e buono. Dobbiamo accettare per forza, altrimenti si va a casa. Ci tengono in pugno e, purtroppo, la legge è dalla loro parte, perché si tratta di un trasferimento, non di una mobilità”.

“Perché dovremmo credere a quello che ci dicono? – si chiede ancora la delegata sindacale –. In realtà, a Milano non ci vogliono e lo confermano i fatti: non è stato presentato alcun progetto, né vi sono incentivi per andare nella nuova sede. Alla fine, zero aiuti per le spese che dovremo sostenere, dal trasloco a tutto il resto, e niente rimborsi per l’affitto da pagare. Di media, un impiegato guadagna 1.500 euro, chi sta in produzione ancora meno: come facciamo a spostarci? Siamo quasi obbligati a dire no, perché il trasferirsi equivale a finire automaticamente in esubero”.

“Ho 42 anni - che poi è l’età media del nostro organico, per il 65% costituito da donne, perlopiù mamme -, circa vent’anni di anzianità in azienda, con un figlio da mantenere, al pari della maggior parte dei miei colleghi, quasi tutti con famiglia a carico. A Milano, ci sono appena venti persone, presso lo showroom in affitto del marchio, mentre da noi a Sesto Fiorentino c’è uno stabilimento e due palazzine, dove si fa di tutto, dal designer alla produzione, alla commercializzazione. Credo che l’ultima speculazione, visto che l’azienda sta anche sul mercato immobiliare, sarà proprio di quella natura, con la vendita degli impianti di Sesto, che si estendono per 25.000 metri quadri, tutti di proprietà”, conclude Casali.