Il previsto crollo dell’occupazione è arrivato, nonostante il fortissimo ricorso alla cassa integrazione che temporaneamente fa rimanere molte persone all’interno del numero degli occupati. Senza il fondamentale paracadute del blocco dei licenziamenti, i numeri della caduta sarebbero stati peggiori. In un solo mese gli occupati calano di -274mila unità portando il tasso di occupazione indietro di molti anni al 57,9%. È il primo visibile effetto della pandemia che si somma ad un trend di discesa già in atto e che porta, su base annua (aprile 2019/2020), a -497mila occupati. Per avere una base di confronto, anche nel 2009 si parlò di crollo dell’occupazione ma mediamente in tutto l’anno il calo rispetto al 2008 fu di -380mila posti di lavoro.

Nonostante una parziale ripresa produttiva, l’andamento dei settori produttivi nel mese di maggio lascia prevedere un ulteriore calo. La diminuzione è generalizzata e riguarda dipendenti, autonomi e tutte le classi di età; più alta fra le donne che fra gli uomini, ma il dato più evidente è che chi paga per primo gli effetti della crisi pandemica sono i precari. Se infatti calano gli indipendenti (-69mila) e i dipendenti permanenti (-76mila), quasi il 50% dell’intero calo mensile dell’occupazione riguarda i dipendenti a termine (-129mila). I contratti a termine in scadenza e molti contratti interinali non sono stati rinnovati, analogamente a quanto accadde con la precedente crisi del 2008/2009, colpendo in modo vistoso la parte più debole dell’occupazione e questo dato -purtroppo - è destinato ad aumentare per le future scadenze dei contratti e per le mancate attivazioni di tanti lavoratori stagionali.

Rispetto al mese di marzo, l’occupazione cala in tutte le classi di età, ma su base annua cala di -627mila unità da 15 a 49 anni (con un picco di -376mila fra 35 e 49 anni) e rimane positiva solo per gli over 50. Permane invece, come nel mese precedente, l’effetto ottico del calo dei disoccupati (-484mila mensile) e addirittura con un crollo su base annua (-1 milione 112mila). Ci sono in realtà molti disoccupati in più che emergeranno nei prossimi mesi e che non risultano per un meccanismo tecnico, legato alle difficoltà derivate dal lockdown a cercare attivamente lavoro e soddisfare quindi i requisiti Istat per essere classificato come “disoccupato”.

Secondo il principio di vasi comunicanti, da anni presente nel mercato del lavoro italiano, queste persone rifluiscono nell’inattività e, infatti, i dati degli inattivi crescono su base mensile di +746mila unità e su base annuale di +1 milione 462mila. È all’interno di questo dato che si celano centinaia di migliaia di disoccupati che via via riemergeranno nei prossimi mesi. Istat, inoltre, fornisce anche un quadro delle ore settimanali effettivamente lavorate che dà un’ulteriore evidenza della grandezza del problema. Le ore settimanali sono calate, ad aprile del 2020, di 11,6 ore rispetto ad aprile 2019.

Un quadro davvero molto grave che richiede risposte straordinarie di tutela delle persone attraverso il prolungamento della cassa integrazione e interventi specifici per i lavoratori precari utilizzando anche le risorse messe a disposizione a livello europeo dal fondo Sure, contestualmente confermando almeno fino alla fine dell’anno il blocco dei licenziamenti e con interventi di rilancio della produzione, dei consumi e dell’occupazione, attraverso investimenti straordinari per i quali tutte le risorse possibile, pubbliche e private, devono essere utilizzate a partire non solo dal Recovery fund ma da tutte le risorse europee già disponibili. Quello che serve sono interventi adeguati, concreti, ma soprattutto tempestivi, rapidamente realizzabili.

Fulvio Fammoni è il presidente della Fondazione Di Vittorio