Cosa succede al settore dell’autonoleggio? Per l’intero comparto il mercato è crollato dell’80% e non tutte le aziende – tra cui alcune storiche multinazionali – sono state in grado di reggere il colpo. Il gruppo statunitense Hertz ha evitato il fallimento grazie a un accordo raggiunto all'ultimo minuto con i creditori. Alla fine di aprile non era in grado di pagare la rata dei leasing in scadenza: impegno prorogato al 22 maggio per evitare di dichiarare bancarotta per 17 miliardi di dollari. Sui siti di consulenze finanziarie è ben spiegato come l'altra multinazionale a stelle e strisce, Avis, sia riuscita – durante la campagna di rinnovo semestrale del proprio parco auto – a restituire le vetture più vecchie bloccando in tempo l’arrivo dei nuovi veicoli. Parte delle perdite sono state così ammortizzate e trasferite all’industria automobilistica che ha dovuto cancellare le prenotazioni. Nel frattempo, la società con sede nel New Jersey ha emesso 500 milioni di dollari di titoli di debito ad alto rendimento per mantenere il flusso di liquidità. Decisioni che non sono piaciute agli analisti che pubblicano commenti al vetriolo sul futuro del gruppo. In Europa, non senza l’ausilio di legislazioni permissive, il settore ha già lasciato a casa centinaia di addetti da Budapest a Barcellona. Tenere una macchina ferma costa in media 30 euro al giorno.

La situazione di Avis in Italia. Gli ammortizzatori sociali in deroga messi in campo dall’esecutivo hanno permesso di congelare la situazione in attesa che si possa tornare, pur con nuove cautele, a viaggiare. Avis ha raggiunto accordi con i sindacati per anticipare la cassa integrazione ai dipendenti. Una tutela importante alla luce dei disastrosi ritardi nell’erogazione che si stanno verificando su tutto il territorio. Tuttavia la tedesca Sixt ha immediatamente chiuso i propri uffici, così come tante piccole realtà come Sicily by car, Autoeurope e Goldcar. Alcune di queste rischiano di non riaprire al termine della crisi sanitaria ed è facile immaginare quali potranno essere i costi sociali. La stessa Avis ha abbassato le saracinesche in molti punti nodali come gli scali di Linate e Malpensa, Pisa e Ciampino. Pur con una forte riduzione di personale è rimasta presente a Fiumicino: da 400 noleggi complessivi – insieme ai marchi Maggiore e Budget – è passata a 35. Una grave fase depressiva che è possibile moltiplicare per ogni servizio o attività commerciale presente in aeroporto. A reggere è stato soltanto il mercato del noleggio furgoni grazie al boom delle consegne a domicilio.

Occupazione asfittica. Alla luce dell'andamento del mercato internazionale, anche nel nostro Paese cresce la preoccupazione per i livelli occupazionali che sarà possibile mantenere. Nessuno sa cosa accadrà quando scadranno gli ammortizzatori. Prima dell'esplosione dei focolai di Covid-19, Avis aveva incentivato l'uscita di 30 persone. In precedenza erano stati esternalizzati gli addetti al lavaggio delle auto e alle piccole manutenzioni: colleghi con anni di permanenza in azienda scaricati improvvisamente a realtà molto meno solide. Oggi gli effetti della pandemia già pesano sulla decisione di non rinnovare i contratti stagionali e di tagliare lavoratrici e lavoratori che avrebbero dovuto dare una mano per affrontare l'aumento dei volumi dei noleggi nel periodo estivo. Tra di essi, Mattia (nome di fantasia), ragazzo di appena trent'anni con una laurea in economia e già molti anni di esperienza nel car rental.

"Il settore ha subito un colpo pesante – racconta Mattia ai microfoni di Collettiva – gli aeroporti sono vuoti e si vive nell'incertezza. L'85% del nostro volume di affari è determinato da turisti e manager stranieri che giunti nel nostro Paese sono soliti muoversi in auto. Se continuerà così – in un mondo dove ci si riunisce solo in videoconferenza – questo settore subirà effetti ancora più disastrosi. Oggi dall'estero arrivano zero prenotazioni. Nel frattempo noi lavoratori avevamo chiesto che la cassa integrazione venisse distribuita equamente per evitare discriminazioni e che i sacrifici colpissero chi avesse carichi familiari. Ma questa è una decisione rimasta in capo alla società. Nelle scorse settimane avevamo fatto notare come i part-time avessero un peso di ore di cassa più alto in rapporto ai full time. Ma una risposta definitiva ancora non ci è stata fornita".

"Un anno e mezzo fa ci aveva pensato il Decreto dignità a mettere fine alla mia esperienza di oltre due anni in una grande multinazionale dell'autonoleggio – si rammarica il lavoratore – . Dopo 24 mesi in un luogo di lavoro, non sei più l'ultima ruota del carro e personalmente ho lavorato bene e viaggiato molto. Ma queste aziende non sottoscrivono quasi più contratti a tempo indeterminato, quindi dopo aver dato il sangue mi sono sentito dire: 'Ci dispiace tantissimo perderti, sei un elemento validissimo ma ciao'. Questo comporta che una persona che voglia provare ad arrivare a un contratto stabile, alla fine si sbatta molto più del dovuto per sentirsi comunque dare una pacca sulla spalla: arrivederci e grazie".

Oggi Mattia ha un contratto con una scadenza sempre più ravvicinata: "Devo ammettere che con il passare dei giorni inizia a crescere la paura. Temo toccherà reinventarsi ancora, anche se voglio mantenere un briciolo di speranza di poter continuare la mia esperienza in questa azienda. Nel frattempo si rinuncia un po' a tutto e non solo a causa del lockdown. Si rinuncia a una vacanza, a un'auto, a un telefono nuovo. Si rinuncia ad andare a convivere, a programmare un matrimonio o un figlio. La mia ragazza ha da poco terminato un contratto di sostituzione per maternità e ora ha un nuovo impiego a termine. Siamo entrambi sulla stessa barca e all'orizzonte non riusciamo a inquadrare il nostro futuro. In azienda poi si vive all'oscuro di tutto, quindi diventa ancora più dura".