Due casi di caporalato scoperti a poche ore di distanza, ai due estremi del Paese, uno a Trapani e l'altro a Gorizia. In entrambi i casi le vittime sono lavoratori stranieri, che – secondo l'accusa - venivano sfruttati e minacciati da “imprenditori” senza scrupoli.

A Monfalcone (Gorizia), alcuni lavoratori maliani, senegalesi e gambiani erano costretti a turni massacranti da un "imprenditore" co-titolare di un'azienda che lavora all'interno dei bacini dove Fincantieri sta realizzando navi da crociera. Secondo l'accusa, i lavoratori erano anche costretti a restituire una parte dello stipendio - tra 200 e 400 euro mensili - che percepivano, con la minaccia di licenziarli.

Inoltre, quando si verificavano infortuni sul lavoro i dipendenti dovevano fingere di essersi fatti male a casa, per evitare guai all'azienda. Dovevano anche pagarsi i corsi obbligatori di formazione sulla sicurezza nella costruzione dei ponteggi - del costo di 600 euro cadauno – salvo poi non poterli frequentare per continuare a lavorare. Per quest'ultimo motivo sette persone, tra docenti e organizzatori della formazione, sono state denunciate a piede libero avendo attestato la presenza degli operai a Padova quando invece non si erano mai mossi dal cantiere isontino. Si stima che l'attivita' illecita proseguisse da almeno due anni e abbia fruttato circa 52 mila euro, che sono stati sequestrati in un conto corrente di una banca di Ancona.

Dall'altra parte dello stivale, in Sicilia occidentale, nel trapanese, i braccianti agricoli, di origine rumena, caduti nella rete del caporalato, venivano retribuiti tre euro all'ora, per una giornata lavorativa che arrivava fino a 12 ore, dal lunedì al sabato. Venivano anche minacciati e vessati con insulti a sfondo razziale. Le indagini, partite nel 2016 e andate avanti attraverso le dichiarazioni di alcuni braccianti e i sopralluoghi effettuati con l'Ispettorato del lavoro di Trapani, hanno portato alla scoperta di una “attività criminale organizzata, continuata e pervicace - sostengono le fiamme gialle - mai interrotta negli anni e dedita allo sfruttamento dei braccianti agricoli di nazionalità rumena". Una organizzazione che secondo la guardia di finanza andava avanti da quasi un decennio. Anche in questo caso i braccianti erano costretti a non recarsi in ospedale in caso di infortuni sul lavoro e venivano pesantemente minacciati per costringerli a mentire sulle cause dell'infortunio.

"Lo sfruttamento e il caporalato sono fenomeni diffusi in tutto il territorio trapanese dove centinaia di uomini e di donne, per lo più immigrati, sono costretti a sottostare a condizioni lavorative disumane, senza diritti, senza regole, a ritmi estenuanti e con stipendi minimi", ha commentato la segretaria generale della Flai Cgil di Trapani Giacometta Giacalone. "Esprimiamo - dice Giacalone - apprezzamento per l'attività delle forze dell'ordine impegnate nello scardinare il sistema di illegalità e di sfruttamento nel mondo del lavoro agricolo. L'applicazione della legge 199 è necessaria non solo per quanto riguarda l'aspetto repressivo, ma soprattutto per la regolarizzazione dei lavoratori attraverso un lavoro sinergico tra tutte le istituzioni e la cabina di regia territoriale, ovvero l'Inps, affinché anche a Trapani sia istituita la rete di lavoro agricolo di qualità per trovare soluzioni alle questioni del collocamento in agricoltura, del trasporto dei lavoratori e degli alloggi".