Con l’autonomia differenziata ben ventitré materie, che oggi competono allo Stato, potrebbero passare completamente alle Regioni che ne fanno richiesta, con il Parlamento esautorato. Si tratta di materie vitali: istruzione, sanità, lavoro, ambiente, trasporti, infrastrutture, commercio, professioni, commercio con l’estero e addirittura i rapporti con l’Unione Europea.

Si deve informare su quello che potrebbe accadere ai lavoratori e alle lavoratrici, ai giovani, ai pensionati, alle famiglie: anche per questo la manifestazione del 7 ottobre è importante e Ali-Autonomie locali italiane l’ha promossa. I sindaci e gli amministratori locali, prima frontiera in rapporto ai bisogni fondamentali dei cittadini, sono consapevoli dei rischi che si corrono e delle situazioni ingovernabili che si creerebbero.

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Con l’autonomia differenziata andremmo incontro alla fine dei contratti nazionali, inevitabilmente affiancati, quando non sostituiti, da contratti regionali. I sindacati sarebbero costretti alle pressioni per accettare condizioni di lavoro più dure, ancor meno tutelate, a una legislazione al ribasso, magari sotto il ricatto della delocalizzazione in un’altra Regione. La situazione già tanto precaria del sistema sanitario nazionale, determinata dalla attuale legislazione concorrente Stato-Regione, tenderebbe a peggiorare ulteriormente: i livelli delle prestazioni pubbliche sarebbero ridotti al minimo per lasciare invece spazio aperto alle assicurazioni private e ai fondi sanitari.

Per la scuola, diplomi, contratti nazionali, orari verrebbero a poco a poco rimessi in causa, come già succede nelle Regioni autonome, mentre le pressioni sulla libertà d’insegnamento aumenterebbero, così come la penetrazione dei privati. La salvaguardia dei diritti nella dimensione nazionale, garantita dalla Costituzione, fino a oggi ha consentito la difesa dagli attacchi di importanti conquiste. Se ancora esistono i contratti nazionali, le pensioni, un sistema di sanità pubblica, una scuola nazionale, è perché i lavoratori e la cittadinanza attiva hanno potuto mobilitarsi a livello nazionale, uniti dal Nord al Sud; perché le autonomie locali hanno promosso rivendicazioni nazionali d’uguaglianza.

Con l’autonomia differenziata le Regioni del Sud sarebbero certamente le prime a pagare un prezzo drammatico. Si prevede infatti che le Regioni “differenziate” trattengano le tasse raccolte sul proprio territorio, senza compensazioni tra le zone del Paese dove c’è più lavoro e più reddito e le altre, come invece avviene oggi. È falsa e va smascherata la propaganda che cerca in tutti i modi di nascondere tutto ciò e di presentare l’autonomia differenziata come una riforma di semplificazione amministrativa, di promozione dell’efficienza e di accoglimento delle esigenze dei territori.

Al contrario, i centri di potere e i clientelismi si moltiplicherebbero e in cambio i cittadini e i lavoratori sarebbero divisi, scatenati gli uni contro gli altri, gli amministratori locali impotenti. Ciò, qualcuno pensa, si dovrebbe governare con l’uomo o la donna forte al governo, con una riforma della Costituzione che azzerasse poteri fondamentali del Parlamento.

Per questo va lanciato un appello: l’autonomia differenziata lede i diritti fondamentali e riguarda tutti e tutte; battiamoci per il suo ritiro. Difendiamo la Costituzione e tutto ciò che ci unisce e costituisce la base dei diritti conquistati con tanto impegno e la possibilità di affermarne di nuovi, com’è necessario fare. È la via maestra da seguire, uniti.

Marco Filippeschi, direttore ufficio studi Ali