Sulle colonne de l'Espresso Mauro de Mauro scriveva:

Fa freddo. La statale 115 è in parte gelata. Ma dà un senso di gelo maggiore il doversi occupare ancora, dopo venticinque anni di lotte sindacali, di braccianti caduti sotto le raffiche della polizia. Stavano scioperando per difendere diritti e interessi elementari. (…) Tutto cominciò dieci giorni fa, quando i braccianti agricoli aderenti alle tre maggiori organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil) decisero d’intraprendere una grande azione unitaria. Si trattava di ottenere un aumento del 10 per cento sulle paghe, ma soprattutto il riconoscimento di un elementare diritto fino ad oggi negato: la parità di trattamento salariale tra addetti a uno stesso lavoro in due zone diverse di una stessa provincia. Questo infatti è un paese in cui si può ancora morire battendosi non per equiparare i salari di Avola a quelli di Milano, ma per ottenere che il bracciante di Avola abbia un salario non inferiore a quello del bracciante di Lentini. Perché la provincia di Siracusa è divisa in due zone: la zona A, che comprende i braccianti di Lentini, Carlentini e Francoforte, in cui la paga giornaliera è di 3480 lire; e la zona B, con Siracusa e i restanti comuni della provincia, in cui la paga è di 3110 lire. Tutto questo, nonostante che la provincia di Siracusa sia una tra le più floride della Sicilia. Florida cioè per i proprietari terrieri, che da ogni ettaro di agrumeto riescono a trarre annualmente un reddito netto che varia tra le 600 e le 800 mila lire. In realtà, il reddito medio pro capite in provincia di Siracusa è tra i più bassi d’Italia. E se la media statistica crolla a questi valori da mondo sottosviluppato, è per le condizioni di vita del bracciantato locale. Per questo già due anni fa ci furono rivendicazioni e proteste, e a Lentini una serie di gravissimi incidenti con poliziotti e carabinieri. Anche allora si trattava di un’azione sindacale originata dal rinnovo del contratto di lavoro. Ma allora c’erano stati dei feriti. Oggi si piangono i morti. (…) Adesso, alle undici di sera, Avola sembra un paese di fantasmi. Dalle due del pomeriggio la vita si è fermata, i negozi hanno abbassato le saracinesche in segno di protesta e di lutto, le due sale cinematografiche hanno chiuso. Una folla immobile e muta indugia sulla piazza principale dove poco fa il sindacalista Agosta ha tenuto un comizio a nome della Federazione dei braccianti. In giro non si vede neppure una divisa. È come se l’intero paese stesse aspettando di riprender contatto con una realtà che tuttora appare incredibile.

Appena informata dei gravissimi avvenimenti, la Segreteria della Cgil esprime, per mezzo di un comunicato, “l’indignazione e la condanna dei lavoratori italiani per l’eccidio compiuto dalla polizia in armi contro i braccianti di Avola”.

“Due morti e numerosi feriti gravi - scrive Rassegna Sindacale citando il comunicato della Confederazione - sono il tragico risultato di un’aggressione della forza pubblica contro i lavoratori agricoli, in lotta unitaria per il rinnovo del contratto di lavoro nella provincia di Siracusa. Bombe lacrimogene e raffiche di mitra hanno violentemente represso una manifestazione sindacale e popolare causata dall’atteggiamento provocatorio degli agrari, i quali venerdì non si erano neppure presentati alle trattative convocate dal prefetto. La Cgil, mentre chiama i lavoratori alla protesta più larga e unitaria in Sicilia e in tutto il Paese, richiama i democratici tutti alla vigilanza contro questi metodi indegni di un Paese civile, e ripropone la necessità di un immediato disarmo della polizia e dei carabinieri in servizio di ordine pubblico e particolarmente durante le lotte di lavoro”.

La risposta all'eccidio 

Nel corso degli scioperi e delle manifestazioni popolari, svoltesi con particolare forza a Firenze, Napoli, Roma (in occasione dello sciopero regionale per l’occupazione), Matera, Potenza, Latina, Perugia, Terni, Campobasso, Pesaro, Catanzaro, Crotone, Cosenza, L’Aquila, Chieti, Vercelli, Alessandria, Torino - con il significativo 90% registrato alla Fiat, la più alta percentuale dopo il 1951 - operai, studenti e contadini pongono in primo piano la necessità e l’urgenza di imporre il disarmo delle forze di polizia e di garantire le libertà sindacali.

Il segretario generale della Cgil Agostino Novella - che partecipa alla testa della delegazione confederale ai funerali delle vittime - invia al ministro dell’Interno, Franco Restivo, un fonogramma in cui chiede, a nome della Segreteria, che “a seguito dei gravissimi e tragici avvenimenti di Avola e in relazione alla giustificata e profonda indignazione dei lavoratori”, si diano disposizioni affinché “in occasione delle manifestazioni di protesta organizzate unitariamente in tutta la Sicilia dalle organizzazioni sindacali venga evitata l’interferenza della polizia”.

La richiesta di disarmo

Al Senato Pci, Psiup, Psi e Indipendenti di Sinistra chiedono, in dichiarazioni congiunte oltre al disarmo della polizia la punizione dei responsabili dell’eccidio, il riconoscimento dei diritti e delle libertà sindacali, una serie di misure collegate alle lotte in corso (superamento delle zone, contratti dei braccianti, pensioni, riforma del collocamento). 

“Con questo attacco, proditorio e meditato - commentava su l’Unità Emanuele Macaluso - le forze reazionarie nazionali hanno voluto montare una grossa provocazione poliziesca e politica nel tentativo di bloccare il grande movimento di lavoratori, di studenti, di popolo in corso da diverse settimane in tutto il Paese. Questo movimento non si fermerà. Respingerà ogni provocazione e andrà avanti, unitariamente e combattivamente (…). Da più settimane la grande stampa padronale conduce una campagna contro le rivendicazioni dei lavoratori, contro la richiesta di un reale ampliamento della vita democratica nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole, invita perentoriamente i dirigenti del centrosinistra a stringere i tempi della crisi, a ‘mettere ordine nel Paese’. E noi sappiamo cos’è per certe forze l’ordine. Lo abbiamo visto in altre occasioni, anche in momenti di crisi politica, nel 1960 per esempio, e lo vediamo oggi, ad Avola. Non è certo difficile quindi individuare le forze che hanno spinto e hanno dato gli ordini per arrivare alla strage, perché di una vera strage si tratta”.

Una strage dalla matrice evidente. Per quelli che sono passati alla storia come "i fatti di Avola" non c’è mai stato un processo, non è mai stato individuato un colpevole. Eppure qualcuno è Stato.