Dopo la bocciatura del referendum sull’eutanasia, dalla Corte Costituzionale arriva anche la bocciatura di quello sulla cannabis. In premessa è bene precisare che i quesiti al vaglio della Consulta affrontavano alcuni aspetti legati al tema della legalizzazione della cannabis. Nel dettaglio, si chiedeva di togliere dal circuito penale esclusivamente la coltivazione per uso personale: lo spaccio, la fabbricazione, l’estrazione e la raffinazione restano sempre e comunque illegali. Inoltre, si chiedeva l’eliminazione della sospensione della patente quale sanzione amministrativa per le persone trovate, in qualsiasi situazione, in possesso anche di una piccola quantità di cannabis, ma continuando a restare sanzionata penalmente la guida sotto l’effetto di Thc.

In più, si sarebbero eliminate dalle sanzioni penali previste dalla norma esclusivamente la reclusione da 2 a 6 anni, che porta in carcere molte persone anche per reati minori, mantenendo tutte le altre sanzioni, amministrative e penali, in caso di contravvenzione alla norma: sappiamo che ad oggi oltre il 35 per cento dei detenuti lo è per fatti legati alla violazione dell’art. 73 del Dpr 309/90, che punisce qualsiasi condotta legata a produzione, traffico, coltivazione e possesso di droga, e che il 25 per cento delle persone presenti in carcere è tossicodipendente.

Attendiamo, ovviamente, le motivazioni della Corte, alla quale è affidata la funzione di giudicare l’ammissibilità dei quesiti referendari. Riteniamo che tale giudizio, comunque, confermi la necessità, non più rinviabile, che il Parlamento disciplini la materia, tenendo conto della spinta popolare espressa dalla grande partecipazione alla raccolta delle firme, ma soprattutto delle evidenze scientifiche e della realtà dei fatti, che hanno già portato molti Paesi a emanare provvedimenti che vanno nella direzione della legalizzazione della cannabis: già nel 2016 la sessione speciale dell’Assemblea generale sulle droghe dell’Onu, nel documento finale, scriveva che le convenzioni internazionali “consentono agli Stati una flessibilità sufficiente per progettare e attuare politiche nazionali in materia di droga in base alle loro priorità e necessità”.

Necessità messa in evidenza dal grande dibattito che negli ultimi anni si è sviluppato anche nel nostro Paese, fra gli operatori, nella società civile e in ambito scientifico, che ha permesso anche la convocazione, a distanza di 12 anni dall’ultima, della Conferenza nazionale sulle droghe. Una conferenza che ha assunto l’impegno proprio di intervenire sulla normativa vigente, per rispondere ai profondi mutamenti avvenuti in questi 30 anni per quanto riguarda i consumi di sostanze.

La Cgil, fin dal congresso del 1995, si è espressa a favore della legalizzazione della cannabis, e continuerà il proprio impegno in questo senso, ponendo in campo tutte le iniziative affinché si realizzi il necessario intervento di revisione complessiva della legge 309/90, il testo unico attualmente in vigore sulle droghe.

Denise Amerini è responsabile Dipendenze e carcere dell’area Welfare Cgil