Tra le testimonianze più famose dell'alluvione di Firenze c'è quella del giornalista Marcello Giannini, che in collegamento con il telegiornale nazionale farà sentire il rumore dell’acqua per le strade dicendo: “Se apro la finestra, tanto per dare l’impressione di cosa c’è sotto di noi, se si sente il rumore. (…) Ecco, questo non è un fiume, non è un fiume, ma è la via Cerretani, è la via Panzani, è il cuore di Firenze invaso dall’acqua”.

Nei giorni successivi all'alluvione arriveranno nelle aree colpite soccorritori da diverse zone d’Italia, e anche dall’estero. Aiuti ufficiali arriveranno dall’Unione Sovietica, dalla Cecoslovacchia, dall’Ungheria. Anche Ted Kennedy, fratello di John e Robert e allora senatore degli Stati Uniti, farà un appello per aiutare la città.

Particolarmente commovente e significativo sarà il gesto di una cittadina gallese di Aberfan - teatro il 21 ottobre 1966 di una tragedia che era costata la vita a 116 bambini e 28 adulti, causata dal collasso di una collina di scarti della lavorazione del carbone che aveva travolto la scuola cittadina - che invierà uno stock di abiti per bambini. 

Anche don Lorenzo Milani si prodigherà affinché anche da Barbiana partissero aiuti alla volta di Firenze a base di acqua e pane. “L’alluvione ha ricreato l’atmosfera del dopoguerra - scriveva il sacerdote il 22 novembre - Preti e comunisti a fianco a fianco hanno in mano la situazione. Il governo è sempre l’ultimo a arrivare e ognuno ne diffida. Preti che fino a ieri non contavano nulla e non sapevano dove sbattere la giornata né loro né i loro giovani hanno aperto la chiesa alle riunioni coi comunisti e a centri di raccolta e distribuzione di aiuti. Quando tutto sarà passato chissà cosa resterà. Forse la nostalgia dell’alluvione”.

“Ho visto l’acqua dell’Arno che aveva rotto gli argini arrivare a qualche metro d’altezza - ricordava qualche anno fa il cardinale Gualtiero Bassetti, futuro arcivescovo di Perugia - Città della Pieve, nel 1966 giovane prete a San Salvi - ma anche una meravigliosa gara di solidarietà. In quel quartiere dove il Pci aveva percentuali da primato, non esistevano più né don Camillo, né Peppone. Tutti eravamo fianco a fianco a svuotare gli scantinati, a portare il fango fuori delle case, a recuperare quel poco che era rimasto alla povera gente”.

“Il pastorale che per la prima volta ho usato a Firenze cinquanta anni fa era un badile: non è servito per appoggiarmi, ma per sostenere gli altri - racconterà Giuseppe Betori, futuro arcivescovo di Firenze, diciannovenne nel 1966 - Nella mia memoria è rimasta impressa la bellezza ferita, ma anche la forza, la dignità, il coraggio e la volontà dei fiorentini di rialzarsi. Avevo da poco iniziato a Roma i miei studi di teologia alla Pontificia Università Gregoriana come alunno del Seminario Lombardo. Dopo le notizie terribili da Firenze, le vittime, la città devastata, lasciammo i libri e con un gruppo di dodici seminaristi e giovani preti partimmo”.

Saranno moltissimi i giovani e giovanissimi "angeli del fango" che accorreranno a Firenze da tutto il mondo, in modo volontario, per spalare via il fango dalle case e delle cantine ed aiutare nel difficile lavoro di recupero dei manoscritti della Biblioteca nazionale, delle opere d’arte degli Uffizi. Tra questi anche personaggi che diventeranno noti.

“Eravamo ragazzini - ricorderà Antonello Venditti - diciassette anni, forse non proprio ragazzini, cominciavamo a ragionare con la nostra testa e pensavamo di dover fare quello che era giusto fare (…) Arrivammo in una città in bianco e nero, completamente coperta di fango. Era uno scenario incredibile. Arrivammo a Firenze e ci radunammo con altri ragazzi in un punto d’incontro prefissato, dove ci accolsero e ci diedero un ruolino di marcia, con i compiti che dovevamo svolgere. Io mi unii a un gruppo di ragazzi italiani, meno organizzati, e a moltissimi ragazzi fiorentini. Normalmente restavamo a dormire nella zona dove durante il giorno avevamo spalato, abbiamo dormito anche sotto al porticato degli Uffizi, con i sacchi a pelo. Quello che mi diedero era perfetto, quello degli scout americani, ed è quello con il quale poi ho girato mezza Europa. I ragazzi che non erano organizzati come noi e avevano bisogno di copertura per la notte stavano alla stazione, era un grande accampamento, le ferrovie avevano messo a disposizione le carrozze e gran parte dei ragazzi stavano lì”.

“Ricordo il dramma di quei giorni - racconterà Pier Luigi Bersani - che è ancora vivo nella memoria della città, ma anche la catena di solidarietà, il coraggio, la voglia di riscatto e di ricostruzione che si impadronì di tutti i fiorentini. Un moto civico cittadino, italiano e mondiale spinse migliaia di ragazze e di ragazzi a correre in aiuto di Firenze e dei suoi abitanti. Questo moto civico ebbe il merito di accendere una coscienza e un protagonismo nuovo nella gioventù italiana, a partire dalla consapevolezza che bisognasse salvare e consegnare al futuro un patrimonio dell’umanità come Firenze”.