Ci siamo. Oggi la Cgil Emilia-Romagna battezzerà LAW, il suo osservatorio contro le attività della criminalità organizzata nella regione e ne discuterà nel corso di un attesissimo evento in diretta streaming, nel quale verrà presentata anche la prima edizione del “Rapporto sulla legalità, i diritti e il lavoro” dal titolo “Le ragioni di una scelta”.

Perché quella di contrastare le mafie che dilagavano sul territorio è stata, da parte della Cgil Emilia-Romagna, una scelta profonda e consapevole, presa anni fa, portata avanti con tenacia, spesso nel fastidio complice di alcuni pezzi dell’economia locale che, carte dei processi alla mano, si sono compromessi con la malavita. Non è un caso se il più grande processo contro le mafie nel nostro Paese sia stato quello passato alla storia come Processo Aemilia e celebrato a Reggio Emilia, non a Reggio Calabria.

E allora? Cosa mancava nella lotta di un sindacato che si era già schierato apertamente contro le mafie? Perché l’idea di creare un osservatorio? A risponderci è Luigi Giove, segretario generale della Cgil Emilia-Romagna, impegnato in prima persona in questa battaglia. “C’è un pezzo dell’economia di questa regione che non riesce a essere competitivo e quindi non disdegna l’utilizzo di strumenti, di persone, di società e di capitali che siano sotto il controllo diretto delle principali mafie. Da qui la necessità di essere presenti sempre e monitorare costantemente, esigenza a cui rispondiamo con la creazione di un osservatorio, perché il danno sul lavoro e il punto di vista del lavoro erano assenti, se non attraverso l’iniziativa del sindacato che appariva però episodica e altalenante. Con l’osservatorio e con Law abbiamo deciso che questa attività acquisisca una struttura solida e non sia solo interna al sindacato, ma dialoghi costantemente con gli altri attori di questa battaglia”.

Insomma, la costituzione di Law è il naturale sviluppo dell’attività di tanti anni e serve a determinare non solo un luogo di elaborazione interno al sindacato, ma a fare rete, a diventare un crocevia nel quale si incontrino altre esperienze concrete, quali quelle maturate nel mondo della scuola, dell’università, dell’informazione, delle associazioni, degli enti locali che, come la Cgil, sono stati in prima linea nell’azione di contrasto. Cosa dobbiamo aspettarci dal numero 0 del rapporto? “Questo primo numero non contiene solo una prima sommaria fotografia dei fenomeni che certificano l’intreccio tra criminalità, economia e lavoro, ma esplicita le nostre ragioni e la loro naturale evoluzione: noi siamo arrivati alla conclusione che la presenza della criminalità organizzata qui, a differenza di altri territori, sia dovuta quasi a una domanda dell’economia emiliano-romagnola, risponda a una particolare esigenza di questa regione e a un pezzo della sua imprenditoria. Lo abbiamo visto a Parma, a Modena, a Reggio e lo vediamo nella riviera”.

Parole che fanno riflettere, che ci costringono a uscire dai luoghi comuni che per troppo tempo hanno distorto la realtà, cristallizzandola nell’immaginario che le mafie sono un fenomeno del Meridione e che in Emilia-Romagna tutto funziona e tutto è sano. La Cgil con il suo osservatorio suona la campanella d’allarme che mette fine a questa ricreazione mentale. Basta leggere alcuni dati per aprire gli occhi. Ci sono le 9 inchieste con i relativi processi, da Aemilia e i 116 arresti del 25 gennaio 2015 al processo Stige in Calabria. Solo nel 2020 in Emilia-Romagna si sono celebrati quattro processi relativi alla criminalità organizzata. Procedimenti che hanno interessato 300 imputati e portato al sequestro di beni per un valore di diverse centinaia di milioni di euro.

In concreto quanto danno fanno le mafie al lavoro e ai lavoratori? “Ci sono fenomeni – risponde Luigi Giove – facili da spiegare. Se parlo di caporalato in agricoltura è immediato capire il danno che arrecano le mafie al mondo del lavoro. Ritmi insostenibili, nessun rispetto della sicurezza, sotto inquadramento, lavoro nero. Oltre ai singoli lavoratori, queste imprese penalizzano anche le altre imprese del settore e quindi l’intera economia. Un sistema che rileviamo spesso in agricoltura, edilizia e turismo. Ma ci sono forme più complesse, pensiamo al caso Gigliotti a Parma”. Franco Gigliotti, imprenditore pluripregiudicato cui nel febbraio scorso sono stati sequestrati beni per oltre 13 milioni di euro, riesce a metter su una galassia di imprese nei comparti avanzati quali la meccanica di processo per il confezionamento di prodotti agroindustriali, e lo fa con grande competitività, perché alle spalle ha una fitta rete di società che evadono l’Iva. Questo gli permette di dominare il mercato pagando i salari più elevati e accaparrandosi, in questo modo, le migliori maestranze. “Qui è più complicato spiegare perché il sistema inquina il mercato e perché anche quei lavoratori, in realtà, sono vittime. Se un’impresa è totalmente nelle mani della ’ndrangheta ed espelle dal mercato tutte le altre imprese concorrenti, ti ritrovi la ‘ndrangheta monopolista in uno dei pezzi di eccellenza del mercato. Questo dimostra che il connubio malato tra economia, impresa e criminalità organizzata estromette le aziende sane”.

Ce n’è abbastanza per capire quanto sia coerente, da parte di un sindacato, la scelta di inserire nelle sue priorità la lotta e il contrasto alla criminalità organizzata. Non è facile concretizzare questo impegno e ottenere dei risultati. Oltre ad esservi costituiti parte civile in molti processi, cosa potete fare? “La contrattazione – risponde Luigi Giove – è senz’altro un’arma importante nelle mani del sindacato. Contrattazione aziendale e territoriale, quella che riguarda gli appalti, sia nel pubblico che nel privato, la formazione dei gruppi dirigenti affinché capiscano quando ci si trova di fronte a condizioni allarmanti di infiltrazione mafiosa. Un’altra arma è il rapporto indispensabile con il mondo della scuola e dell’istruzione, al fine di preparare i futuri lavoratori a essere attenti e a collaborare con il sindacato”.

Quella con le scuole e le università è un’alleanza fortemente cercata dalla Cgil. La battaglia, come spesso accade sui grandi temi economici e sociali, è anche e soprattutto una battaglia culturale. Perché segretario? Come la vivono i cittadini dell’Emilia-Romagna questa situazione? Sono informati? Sono preoccupati? Sono arrabbiati? Sono scettici?

La gente ne sa poco, perché non c’è la percezione della pericolosità. In Emilia-Romagna – ci spiega il segretario della Cgil regionale – le mafie non sparano, non uccidono – o comunque lo fanno raramente –, è difficile ci siano reati estorsivi verso le imprese. Il paradosso è che sono le imprese a chiedere i servizi delle mafie. Le aziende in mano alla criminalità organizzata spesso fanno anche filantropia – inaugurano parchetti, donano ambulanze – e quindi si corre il rischio di percepirli addirittura come una soluzione. Per questo è importante il contrasto con la presenza capillare sul territorio, con la comunicazione e con l’informazione. Alcuni ambienti e ambiti lo hanno capito. Penso agli enti locali, alle amministrazioni, agli altri sindacati. A mancare è una consapevolezza diffusa del fenomeno”.

È un omicidio senza cadavere, quello compiuto ogni giorno dalle mafie tra la grande pianura e la riviera. Non fa rumore come gli spari e le bombe, non spaventa come in realtà dovrebbe. È il ricatto finanziario di chi ha tanto denaro liquido da ripulire e diventa la risposta pronta ai danni della crisi. A tal punto che chiunque denunci, come è successo alla Cgil, rischia addirittura di fare la figura, agli occhi di molti, del guastafeste, del rompicoglioni.

“Mi ha sorpreso molto – ci racconta Luigi Giove – che quando siamo stati auditi dalla Commissione Antimafia e per primi abbiamo lanciato l’allarme delle infiltrazioni in Romagna, dove da tempo sono in atto strani passaggi di proprietà di alberghi, bar e ristoranti attraverso acquisizioni sospette con valori fuori mercato, si sia scatenata contro di noi e la nostra denuncia la reazione arrabbiata delle associazioni imprenditoriali romagnole. Il concetto che è passato è che se tu denunci fai cattiva pubblicità al territorio, rischi di macchiarne la reputazione, finisci per essere percepito come il problema e non per quello che sei, cioè uno che il problema lo sta sollevando. Questo è un pessimo campanello d’allarme e mi piacerebbe che si trovassero delle contromisure a questo fenomeno prima di arrivare a celebrare anche in Romagna, come già in Emilia, un altro grande processo sulle infiltrazioni mafiose”.

Siamo alla fine della nostra chiacchierata. Tutto quello che ci ha detto Giove e che leggeremo sul primo rapporto dell’osservatorio o ascolteremo nella diretta di questa mattina getta un velo di preoccupazione sul futuro prossimo, quando si apriranno i rubinetti del Recovery Fund, riversando anche qui e in questo contesto fiumi di denaro. Cosa occorre fare per evitare un assalto alla diligenza? “Prestare molta attenzione alla qualità dei processi che si mettono in campo, a partire dalle gare di assegnazione, dal rispetto del lavoro, dal tracciamento dei flussi finanziari, uno strumento che in passato si è rivelato molto efficace. Quando non si sa da dove arrivano i soldi, le imprese vanno estromesse dai processi e vanno compilate le white list, escludendo dalle gare quelle cui mancano i requisiti di affidabilità. Strumenti che hanno funzionato molto bene in occasione della ricostruzione post terremoto. Non devono appesantire la burocrazia, ma devono garantire la legalità e la trasparenza nei processi economici del territorio”.