Il 13 aprile 1944 Bruno Buozzi veniva fermato per accertamenti dalla polizia fascista e condotto in via Tasso. Il Cln di Roma tenterà a più riprese, ma senza successo, di organizzarne l’evasione e il 1 giugno, quando gli americani sono ormai alle porte della capitale, il nome del sindacalista, già segretario generale della Fiom e della Cgdl ed ex deputato socialista, verrà incluso dalla polizia tedesca in un elenco di 160 prigionieri destinati a essere evacuati da Roma. La sera del 3 giugno, con altre 13 persone, Buozzi è caricato su un camion tedesco. Il giorno seguente - sembra per ordine del capitano delle SS Erich Priebke - viene trucidato con tutti i suoi compagni.

La notizia dell’assassinio di Bruno Buozzi - scriveva l’Avanti riapparso per la prima volta pubblicamente nella Roma liberata il 7 giugno 1944 - si è abbattuta su di noi come una folgore. Nato dal popolo, operaio nei primi anni della giovinezza, si distinse subito per le doti eccezionali di intelligenza, di facilità di assimilazione, di comprensione dei problemi che interessavano specialmente gli operai dell’industria. Era uomo di vasta preparazione economica e sociale conquistata con volontà e per desiderio irrefrenabile di sapere. Abbiamo trepidato per lui, abbiamo sperato sempre; abbiamo tentato ogni strada, studiato ogni mezzo per strapparlo ai suoi aguzzini. Proprio quando la speranza ci sorrideva più viva, i carnefici nella fuga disperata l’hanno portato via, caricato sopra un autocarro con le mani legate dietro la schiena come un delinquente qualsiasi. Poi la vendetta, la brutale barbara vendetta; un colpo di rivoltella per uccidere con lui le speranze e l’attesa della classe lavoratrice italiana”. “Negli ambienti operai – affermava una nota per il ministero dell’Interno del 10 giugno 1944 – ha sollevato enorme impressione la notizia secondo la quale l’organizzatore socialista Buozzi sarebbe stato trovato cadavere non lontano da Roma. Taluni hanno avanzato l’ipotesi che l’avvenimento possa provocare reazioni nell’ambiente quali scioperi o manifestazioni del genere”. 

“Bruno Buozzi - recitava un manifesto apparso sui muri della capitale finalmente libera a firma del Psiup - il nostro compagno di fede e di lotta, il socialista rimasto fedele durante tutta la sua vita all’ideale di elevazione della classe lavoratrice, è stato vilmente assassinato in Roma dai fascisti e dai nazisti. Proprio nella ricorrenza del XX anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, che fece fremere di sdegno il mondo civile, un altro dei migliori è andato ad accrescere l’albo del martirologio socialista italiano… Il nostro Bruno Buozzi, l’uomo caro ai lavoratori italiani che soprattutto a lui devono le migliori conquiste rivendicatrici, ha dovuto soccombere alla furia sanguinaria degli oppressori. La sua fermezza di carattere, la sua dirittura morale, la sua capacità organizzativa ed i suoi modi di buona convivenza con tutti, amici ed avversari, gli avevano attratto indiscutibilmente la generale stima e fiducia; ma l’atrocità del suo assassinio lo fa assurgere ben più in alto a bandiera di combattimento dei lavoratori italiani e di quanti lottano per il ripristino delle libertà democratiche… La gravità del momento, non permette di onorare degnamente questo nostro martire. Egli ne siamo certi, se fosse ancora con noi, pretenderebbe che, in quest’ora nella quale si decidono le sorti del mondo e della liberazione dell’Italia, non si storni l’attenzione e l’attività dagli scopi principali per dedicarci a riverenti omaggi. Da valoroso e bravo alfiere ci spingerebbe a continuare compatti ed ardimentosi nella battaglia per la sconfitta decisiva dei nazifascisti e per la distruzione di tutto un mondo di delitti e di barbarie che da venti anni domina ed insanguina l’Italia e l’Europa. Lo spirito di Bruno Buozzi non si placherà sino a quando non gli verrà resa giustizia con le altre innumerevoli vittime del fascismo cadute per una causa santa e giusta. Dominiamo la nostra commozione, asciughiamo le nostre ciglia e nel nome di Bruno Buozzi intensifichiamo la nostra attività, spronati ed illuminati dalla sua fede, per raggiungere quelle mete alle quali egli dette tutto se stesso fino al supremo olocausto della vita”.

Buozzi, affermava Nenni il mese successivo, “non era l’uomo uscito dalla sua classe per passare ad altra classe”, aveva “una formazione fatta nella strada e non nelle scuole (…) una tendenza alla osservazione della vita più che allo studio astratto della vita”, era un uomo “che si è sempre posto di fronte ai problemi della vita e della lotta sentendosi il rappresentante di coloro che da giovane lo avevano strappato all’officina per farne prima un rappresentante di leghe, poi il segretario generale della Fiom, infine il segretario generale della Confederazione del Lavoro”. “Ieri”, nella “allucinante rovina” di Cassino, “vidi un vecchio contadino curvo sotto il peso della solforatrice e che nel sole infuocato andava alla ricerca di qualche tralcio di vite scampata per miracolo all’uragano di ferro e di fuoco. In quel contadino Bruno Buozzi avrebbe celebrato il lavoro che fa rinascere la civiltà dove la guerra ha tutto distrutto (…) e avrebbe salutato il mondo nuovo che rinasce sulle rovine del vecchio mondo. Aggrappiamoci a questa speranza, a questa certezza: ci salveremo col lavoro liberato dallo sfruttamento del capitalismo” e  “col socialismo ricondotto alla fatica senza fatica dei costruttori di una nuova civiltà”.

“Chi scrive - affermava Giuseppe Di Vittorio in occasione del primo anniversario della scomparsa di Buozzi -  ha potuto seguire l’opera di Buozzi in Italia ed in esilio ed ammirarne la continuità, anche quando questa opera costava non lievi sacrifici. Io mi legai d’una particolare amicizia personale con Lui, sin dal 1934, da quando fummo per lunghi anni entrambi componenti il Comitato d’unità di azione socialista e comunista, poi nel grande movimento popolare antifascista creato su basi unitarie nell’emigrazione italiana all’estero. Mi sia consentito di affermare che in quella nostra attività comune sorsero i primi germi di quella più vasta unità sindacale realizzata in seguito e di cui Buozzi fu uno degli artefici principali. (…) Nessun lavoratore italiano che abbia conosciuto Bruno Buozzi potrebbe ricordare il suo martirio senza sentirne un profondo dolore. Bruno Buozzi è stato uno dei dirigenti sindacali fra i più amati dal proletariato, perché Egli fu il tipo più completo dell’organizzatore che abbia prodotto il movimento operaio italiano”.

Operaio, Buozzi “ha amato gli operai e ne ha servito la causa con passione ardente, temperata da un senso elevato e impareggiabile di equilibrio. Bruno Buozzi non è mai stato un professionista dell’organizzazione. Egli è stato l’operaio che lotta per l’elevazione dei propri compagni di lavoro, per l’emancipazione della propria classe, e che nel corso di questa lotta è sempre più apprezzato dalla massa in cui lavora ed è da essa direttamente eletto a proprio capo ed elevato fino alla più alta carica della grande organizzazione dei lavoratori italiani, alla quale la sua forte personalità impresse un più alto prestigio”.