Partiamo da un dato. 95,6 per cento. Non c’entra l’economia e neanche il mercato del lavoro. Non è un sondaggio e non ha a che fare con la crisi del governo. È uno dei numeri più concreti e più drammatici partoriti dalla triste lotteria della pandemia. È la cornice nella quale dovremmo orientare le prossime decisioni operative. 95,6, ogni cento morti diagnosticate covid, sono, in Italia, le vittime che avevano più di 60 anni. Nel nostro Paese, che spesso scopre senza pudore la propria mancanza di memoria, i sindacati pensionati di Cgil, Cisl e Uil stanno chiedendo, a livello nazionale e su ogni singolo territorio, che si faccia presto con la somministrazione dei vaccini. Accelerare e procedere speditamente alla vaccinazione degli anziani potrebbe abbattere la mortalità dovuta al virus del 70 per cento. Un altro dato pesante. Che ci parla di vite salvate, di fermare una vera e propria strage. A declinarlo sul territorio, questo 95,6 per cento, a dargli un volto e un indirizzo, ci pensa Daniela Bortolotti, componente della segreteria dello Spi Cgil Emilia-Romagna. “La mia regione ha avuto 9360 decessi diagnosticati covid. Di questi, circa il 30 per cento erano persone ricoverate nelle strutture per anziani”.

Non è semplice accelerare di fronte ai ritardi di fornitura che si sono verificati e che hanno già fatto slittare la fase dedicata agli ultra ottantenni.

Per superare questo problema, io sarei molto favorevole all’idea di produrre il vaccino nei singoli paesi. Provando a mettere in campo licenze che lo consentano, mi sembra la scelta più efficace, vista la portata delle persone da vaccinare. Se si sblocca la fornitura, il nostro piano da qui all’estate riesce a coprire il grosso della popolazione indicata. È comunque una questione globale, ci sono in ballo risorse pubbliche destinate alla ricerca, a decidere non possono essere solo le aziende.

Quanto tempo si perde rispetto alla prima calendarizzazione annunciata inizialmente?

Noi avevamo una ipotesi in cui da metà febbraio si potevano cominciare a vaccinare gli ultra ottantenni, circa 360mila in Emilia-Romagna. Con gli ultra settantacinquenni si arriva a 570mila. Pensavamo che tra il 15 e il 20 febbraio si poteva somministrare la prima dose. Adesso, ammesso che si rispettino le tempistiche aggiornate, si slitta di almeno un mese.

Qual è il piano e a che punto siete?

Le aziende e i sindaci hanno già una strategia, stanno cercando spazi nelle fiere, nei centri sociali, nelle case della salute. Ora, con le dosi al contagocce, si finisce la prima vaccinazione di tutti gli operatori, siamo all’80 per cento del personale, e si continua con gli ospiti delle cra, le case residenza per anziani. Ma fino al 7 febbraio non si prendono nuovi appuntamenti. Le seconde dosi sembrano garantite, se c’è qualche margine con i vaccini di Moderna si continua con gli ospiti delle cra.

Correre per salvare vite umane e per salvare la socialità degli ospiti delle strutture per anziani che, più l'attesa si allunga, più restano lontani dalla famiglia.

Sì, gli ospiti delle cra sono abbastanza blindati. È attivo ancora qualche focolaio. Su 1428 strutture residenziali in regione, tra cra, case famiglia e case di riposo, nell’ultimo report del 10 gennaio quelle con almeno un ospite positivo erano 219. La situazione è a macchia di leopardo. Ci sono residenze senza problemi e qualcuna dove il virus è entrato e si sente. In molte strutture hanno costruito le stanze degli abbracci, in alcune si usa il tampone rapido per i visitatori, ma dove hai focolai attivi vige la chiusura verso l’esterno. Per questo, nella scarsità delle dosi a disposizione, mettere gli ospiti delle cra al primo posto per la somministrazione dopo gli operatori sanitari ha il senso di tutelare al massimo questa popolazione molto colpita e isolata dalla propria famiglia.

Quali sono le criticità, pensando alla vostra regione?

La seconda fase della vaccinazione, quella rivolta alla popolazione, devi farla con un vaccino gestibile. Complicato distribuire un farmaco che resiste solo a temperature quali meno 70 gradi. Portarlo nei piccoli paesi o nelle comunità montane. Anche per aspetti come questo, pensiamo che il perno della macchina organizzativa debbano essere i medici di medicina generale, che spesso hanno gli studi dentro le case della salute e sono molto ramificati nel territorio. Per noi il metodo dovrebbe essere simile a quello già utilizzato per le campagne di vaccinazione anti influenzale, con la chiamata attiva. Se l’anziano può muoversi il luogo può essere l’ambulatorio nel paese in cui si vive. Se è allettato o comunque non può uscire di casa, ci vogliono squadre itineranti sul modello delle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale, che somministrino il vaccino a domicilio. Questi sono tutti elementi che dovrebbero far parte del piano che ci verrà reso noto, in forma completa, venerdì 5 febbraio in un incontro già programmato.

I sindacati cosa possono fare concretamente? Cosa farà lo Spi Cgil?

Noi in alcuni territori, in particolare quelli montani, abbiamo già dichiarato la disponibilità a lavorare insieme all’Auser per organizzare i trasporti delle persone autonome che fossero bisognose di andare al centro più vicino. Contattiamo telefonicamente gli anziani soli e organizziamo una risposta alle loro esigenze. Abbiamo le forze che abbiamo, ma i nostri volontari delle leghe e quelli dell’Auser sono pronti a dare una mano.

In Emilia-Romagna è tutto pronto. Se non sembrasse una battuta, diremmo che manca solo il vaccino. E bisogna fare presto, perché ogni giorno la pandemia continua a uccidere, in tutto il Paese, centinaia di persone che potrebbero salvarsi. Cosa ti ha insegnato la pandemia?

I primi mesi sono stati terribili. Siamo stati travolti, sembrava non ci fossero vie d’uscita. Siamo rimasti lucidi e abbiamo cercato di capire cosa poter fare. Adesso sono soddisfatta del lavoro che ho visto fare, anche se la situazione è davvero molto grave. Questo virus è cattivo, infido, è importante che si arrivi presto a proteggere la popolazione. Di fronte al dolore che abbiamo vissuto, mi sento rassicurata dalla straordinaria reazione del sistema sanitario e anche dalla nostra. La società ha imparato la lezione del covid, faremo di tutto perché ne resti memoria. E quando avremo i vaccini potremo ricominciare.