Non è facile fare previsioni su quello che succederebbe se non fosse prorogato il blocco dei licenziamenti. Ma a leggere i dati che raccontano gli ultimi mesi, anche il Piemonte sembra sull’orlo del baratro. “Da un recente studio dell’Ires, concentrato sulle prime tre settimane di gennaio, risulta che, rispetto alle assunzioni, siamo a meno 35 per cento sullo stesso periodo del 2020 e a meno 52 per cento sul 2019. È già un dato statisticamente significativo e preoccupante”. A guidarci è Claudio Stacchini, della segreteria regionale della Cgil. “Sul capitolo occupazione, gli ultimi dati di Confindustria calcolano che nel primo trimestre, quindi fino al 31 marzo, con il blocco dei licenziamenti in essere, l’occupazione scenderà del 4,1 per cento sul totale. Parliamo di 35mila posti di lavoro”. Numeri che combaciano con il mezzo disastro del 2020: l’avvio di nuovi contratti è crollato del 33 per cento, le trasformazioni da precari a stabili giù del 28 per cento. E a pagare il prezzo più alto le donne e i giovani. La punta dell’iceberg è annunciata da un altro dato: quello delle cessazioni che sono diminuite del 20 per cento. In pratica 61mila persone in meno hanno perso il lavoro. Sembra una buona notizia. Sembra... “Questo – commenta Claudio Stacchini – dimostra che il Piemonte è una delle aree a rischio con il superamento del blocco dei licenziamenti. Chi ce l’ha fatta finora, quando il blocco decadrà perderà il posto. Mancando quella misura di protezione si va al libero mercato. E del resto la pressione delle imprese per superare questo punto è anche figlia di una volontà di cogliere l’occasione, per rinnovare la forza lavoro, lasciando andare i più vecchi, meno qualificati e più improduttivi. Noi siamo già entrati nella crisi con 15mila potenziali esuberi. Quegli esuberi ce li ritroveremo tutti davanti una volta tolto il blocco. A dircelo è lo stato comatoso del tessile e dell’automotive, due dei settori più importanti per la nostra regione, che erano in affanno quando è scoppiata la pandemia e restano tuttora tali. La metalmeccanica continua a perdere produzioni, nell’automotive lo spiraglio di Stellantis è tutto da verificare e le attuali scelte annunciate ad ora non saturano né Mirafiori, né la componentistica. Nel tessile i 10mila addetti a Biella fino a novembre hanno fatto 9 milioni di ore di cassa. Con un semplice calcolo matematico, è come se in 5mila fossero stati a zero ore per tutto l’anno. Queste sono due questioni anestetizzate dal covid, ma pronte a tornare prepotentemente urgenti con la fine del blocco”.

Come se ne esce? “Le misure passive, come il blocco dei licenziamenti, vanno bene all’inizio, ma a un certo punto servono investimenti. Perché non puoi bloccare gli esuberi all’infinito e poi perché bisogna creare occupazione. Questa è ora l’emergenza. Senza investimenti non ce la facciamo. Perché la crisi della manifattura continuerà. Finora il terziario, servizi, ristorazione, turismo, hanno fatto da polmone e sono cresciuti in questi anni, arginando la crisi industriale. Con il covid non hanno più esercitato questa funzione, anzi, licenziando anche in questo settore la situazione complessiva risulta aggravata. Senza investimenti allungheremo l’agonia. Quindi sono due i comportamenti decisivi: una riforma che semplifichi gli strumenti di protezione del lavoro, gli ammortizzatori e l’impegno per le politiche attive, e investimenti pubblici e privati”.

Il gelo all’ombra della Mole  

A Torino la situazione è sempre più nera. In città la crisi viene da lontano e già a dicembre 2019 i sindacati avevano sintetizzato lo stato del lavoro come vertenza Torino. Poi è arrivato il covid, con il suo carico di drammi e la lunga coda di una crisi economica che rischia di essere appena all’inizio. In città, secondo i dati Osservatorio sul Precariato Inps relativi al IV trimestre 2020, si concentra il 62 per cento delle 36.638 famiglie che in Piemonte hanno richiesto il reddito di cittadinanza. Il capoluogo, da solo, ha in carico 28mila nuclei familiari, di cui circa due terzi assegnati ai Centri per l’impiego e poco meno di 9mila in percorsi socio-assistenziali, nonché circa 600 persone impegnate in cantieri di lavoro, progetti di pubblica utilità, tirocini e borse lavoro. Nonostante questo, permane, e si aggrava con un significativo incremento a dicembre scorso rispetto a novembre, un forte problema sociale e di reddito: si aggiungono infatti 10mila famiglie che ricorrono agli aiuti di beni di prima necessità attraverso il progetto “Torino solidale”. Inoltre 40.639 persone dell’area metropolitana (il 60% delle richieste del Piemonte) hanno chiesto il Reddito di Emergenza, con un incremento del 21,2 per cento a dicembre 2020 rispetto a novembre.

“La lettura di questi dati – commenta Elena Petrosino della segreteria della Cgil provinciale – ci suggerisce che nell’area metropolitana la crisi è ancora molto forte, aggravata dagli effetti dell’epidemia. Sul piano occupazionale nel 2020 abbiamo registrato un calo significativo delle attivazioni nette, con un leggero miglioramento solo a partire dalla seconda metà di dicembre. Una crisi che ha effetti diversi in base all’evoluzione sanitaria dell’epidemia e alle disposizioni di gestione messe in atto da Governo e Regioni. E si inserisce in un momento di forti trasformazioni già in atto nei modelli produttivi classici manifatturieri, nei servizi e nella logistica, nella pubblica amministrazione a fronte dell’innovazione tecnologica e digitale, della necessità di tutela ambientale, dei cambiamenti nei mercati internazionali e che sta producendo una forte contrazione di reddito delle famiglie e dei consumi. Per queste ragioni – continua la sindacalista – permane una forte incertezza, anche rispetto all’imminente futuro quando, il 31 marzo o successivamente, verrà meno il sistema di tutele covid: ammortizzatori sociali, bonus, blocco dei licenziamenti – ben consapevoli che in quest’ultimo anno sono già stati persi centinaia di migliaia di posti di lavoro, soprattutto a termine. Una situazione che ha ulteriormente penalizzato, nel nostro mercato del lavoro già fortemente diseguale, in particolare giovani e donne. Aumentano gli inattivi, persone che non studiano, non hanno un lavoro, non lo cercano e non sarebbero disponibili ad accettarne uno”.