Dal marzo 1968 - favorito in modo sostanziale dalle rilevanti conquiste operaie nella contrattazione aziendale in tema di organizzazione del lavoro, ambiente di lavoro e delegati sindacali - riprende il dialogo tra Cgil, Cisl e Uil.  Il 14 novembre 1968 le tre confederazioni tornano a scioperare per la prima volta insieme dai tempi delle scissioni.  Il confronto prosegue in modo serrato e tra l’ottobre 1970 e il novembre 1971 si tengono a Firenze tre riunioni che di fatto scandiranno il percorso verso l’unità: Firenze 1 (26-29 ottobre 1970), Firenze 2 (1-2 febbraio 1971) e Firenze 3 (22-24 novembre 1971). Le deliberazioni interconfederali di Firenze 3 approveranno il documento programmatico, le modalità e i tempi per la realizzazione dell’unità sindacale organica, prefissando entro il mese di settembre del 1972 la celebrazione dei rispettivi congressi nazionali per l’unità.

Ma nel febbraio 1972 Raffaele Vanni, segretario generale della Uil, in un’intervista su L’Europeo, esprime la propria contrarietà all’unità sindacale nei tempi previsti dai Consigli generali. Il 28 febbraio iniziano presso la sede della confederazione della Uil i lavori del Comitato centrale. La relazione introduttiva è tenuta proprio dal segretario generale Raffaele Vanni. 

Valutando lo stadio di maturazione del processo unitario e le conseguenze da trarre Vanni ribadisce: “All’interno del processo, registriamo con rammarico l’oggettiva impossibilità attuale, dovuta a cause reali e al non assolvimento delle condizioni poste in partenza. Non ipotechiamo il futuro, proprio perché, ferma restando la nostra posizione, vogliamo essere fedeli all’obiettivo finale e non rinunciare a raggiungerlo in un domani che sarà più o meno prossimo, a seconda dell’evoluzione delle posizioni altrui. Chi imboccasse un’altra via, magari quella dell’unità per categorie, opererebbe in modo da mettere la parola fine al capitolo unitario”.

Così - nel luglio 1972 - nasce la federazione delle confederazioni, la Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil, sostanzialmente una soluzione di compromesso tra l’inizialmente auspicata unità organica ed il mantenimento dello status quo. 

Rispondendo al quesito "Cosa pensiamo del patto federativo?" scriveva Luciano Lama su Rinascita:

Ha ragione Trentin quando dice che la federazione attuale non è quella che avevamo concepito. Però nella soluzione adottata vi sono potenzialità che potranno permetterci di andare avanti se ci impegneremo per farla diventare quella che in partenza non è, ma potrà essere. Ecco perché sono d’accordo con chi la definisce un terreno di impegno, di iniziativa, di confronto, di lotta. Non sarà pacifica la vita all’interno della federazione e dobbiamo fare attenzione che soprattutto tra le forze unitarie non ci siano dei compagni o degli amici - ve ne sono in tutte le confederazioni - i quali la considerino come un ritorno all’"ordine", un rientro nei ranghi: abbiamo avuto una bella primavera dell’unità sindacale, si sono fatte tante esperienze e adesso si rientra nelle file della normalità. Se dovesse essere così allora certamente si seppellirebbe il disegno dell’unità organica e decreteremmo anche la morte della federazione. Non credo infatti che essa possa essere la soluzione permanente dei rapporti sindacali in Italia: o riesce a diventare il ponte verso l’unità, oppure fatalmente andiamo incontro ad un nuovo processo di disgregazione. Perché questo non sia, sono d’accordo con chi sottolinea il problema della partecipazione, dell’impegno delle forze più unitarie: non, Ravenna, per sganciarci da quelli che non ci stanno, ma per portarli avanti e per farli diventare come noi, attraverso un processo di trasformazione che ha già investito ciascuno di noi in questi tre anni, che ha cambiato anche determinate forze facendole diventare unitarie. Sono convinto che una delle ragioni più vere della mancata realizzazione di Firenze Tre è nel non aver avvertito fino in fondo, anche sul piano delle politiche oltre che su quello dello schieramento delle forze reali, che si andavano determinando delle distanze all’interno del movimento. Noi abbiamo offerto a quelli che l’unità non la vogliono dello spazio: quando non siamo riusciti a dare un quadro di politiche rivendicative, per la lotta dell’occupazione e per le riforme, che fosse comprensivo delle esigenze globali del movimento, noi abbiamo oggettivamente offerto un terreno favorevole al dilatarsi delle distanze tra le forze più avanzate e le forze meno mature, tra Nord e Sud, agricoltura e industria, occupati e disoccupati, riforme e azione rivendicativa contrattuale e a livello aziendale. In questo campo abbiamo tutti delle responsabilità, nella Cgil, nella Cisl, nella Uil.

Aggiungeva Bruno Storti, segretario Cisl

Voi tutti sapete che quando si parlò del Patto io fui estremamente perplesso, per non dire diffidente, non tanto nei confronti della persona che faceva quella proposta, ma per ragioni precise: unità e federazione non sono la stessa cosa e noi abbiamo parlato sempre più di unità che non di unificazione (anche se, mi rendo conto, non si può parlare dell’una senza l’altra). La federazione, dunque, dava l’idea di un mantenimento dello stato di fatto, che non è naturalmente solo negativo, ma mantiene la differenza tra le tre organizzazioni e le premesse perché si ripetano esperienze non positive del passato. Parlo del Patto di Roma che invece di essere una confederazione era, appunto, una federazione di correnti politiche e tale rimase. Ma, quando, spinti dal nostro realismo e dalla comune convinzione che l’obiettivo dell’unità era da raggiungere con molta buona volontà, ed abbiamo pensato che il Patto poteva essere un mezzo per raggiungere l’unità, allora si è meglio chiarito il concetto di federazione e si sono in gran parte attenuate le preoccupazioni di cui parlavo. Le sue caratteristiche principali: essa è un mezzo per raggiungere l’unità; non è una alternativa all’unità; ha una sua collocazione limitata nel tempo, che certo non posso indicare se sarà di un mese, di quattro o più. Del resto, il mancato rispetto delle date fissate, senza molta fortuna, nella riunione di Firenze Tre, ha influito psicologicamente in modo negativo sul movimento: fissare quindi altre date poteva essere una decisione politicamente non giusta. Io credo che la soluzione trovata, mentre dà alla federazione caratteristiche di temporaneità, si concilia con l’esigenza che le organizzazioni si pronuncino democraticamente sull’accordo raggiunto. Cioè, la non alternatività e la temporaneità, unitamente alle scadenze dei congressi ordinari delle tre confederazioni, stanno a significare che c’è una durata prevista della federazione e che sarà data sull’esperienza fatta una valutazione che, nelle nostre forme di organizzazione, sarà la più democratica possibile. A me pare che questi siano i significati più rilevanti del Patto federativo e siano quelli che permettono di dare tutto sommato un giudizio positivo, poiché è inutile piangere sul latte versato. Per quanto riguarda il metodo, facciamo anzitutto chiaramente intendere che non si tratta di una federazione e basta, perché in questo caso sarebbe non solo una realtà abbastanza «verticistica», ma, direi, discretamente non utile. La caratteristica più importante è invece che sarà una federazione a tutti i livelli, sul piano delle categorie e su quello territoriale. Voglio sottolineare questa nuova realtà perché, a mio avviso, una delle cause del fallimento di Firenze Tre è nel fatto che mentre per alcuni il confronto era ravvicinato ed aveva determinato una grande maturazione del processo unitario, per altri il confronto si svolgeva a distanza e diventavano determinanti e condizionanti il processo alle intenzioni, i dubbi e i sospetti. Questo è il caso di alcune zone del Mezzogiorno, dove, ad esempio, il giudizio sull’autonomia o non autonomia non era il risultato di una verifica reale, ma rispondeva spesso ad uno schema precostituito. Mi pare molto importante che anche settori e zone dove il confronto non c’è stato siano «forzati» a stare e a discutere insieme, in modo che si arriverà ad un chiarimento: o certe preoccupazioni sono giustificate, e cercheremo tutti di intervenire per non farle più esistere, o non sono giustificate ed allora se la gente è in buona fede cambierà anche idea.

In realtà, nel preambolo del Patto federativo, si sottolineava il carattere provvisorio della Federazione unitaria, ma non si indicavano tempi certi per un’unità organica, di fatto mai raggiunta (nel 1977 i congressi confederali rinvieranno nuovamente l’unità organica a data da destinarsi). Il 30 luglio 1972 l’editoriale unitario di Rassegna sindacale, Conquiste del lavoro e Il lavoro italiano riporterà significativamente due date: il 24 luglio e il 21 settembre 1972: “la prima - vi si legge - si riferisce a un fatto avvenuto: la costituzione della Federazione Cgil, Cisl, Uil; la seconda, invece, ad un fatto atteso e sperato da milioni di lavoratori; i congressi di scioglimento per l’unità come fase di avvio di una vera e propria fase costituente del nuovo sindacato unitario”.