Esattamente da vent’anni, da quando nel 2000 Carlo Azeglio Ciampi tornò a istituire il 2 giugno come festa nazionale della Repubblica italiana, questa data forse è l’unica veramente unitaria del nostro calendario civile, nella quale il sentimento di appartenenza alla nazione sembra riuscire a raggiungere tutti, senza tante distinzioni né troppe polemiche.

Ciampi seppe cogliere il momento (quello in cui i partiti protagonisti della politica italiana dal 1948 erano ormai usciti di scena), legando la ricorrenza agli ideali di unità e libertà scolpiti nella memoria risorgimentale, e sciogliendo abilmente l’annosa questione della parata militare, mitigata dalla definizione di “forza di pace”, interpretando così l’articolo 11 della Carta costituzionale con il timbro della presenza di una nutrita componente femminile tra le divise che sfilavano. L’entusiasmo popolare che circondò il battesimo di quel nuovo corso fece il resto, mentre Napolitano e Mattarella hanno contribuito a loro modo nel tempo a restituire una lettura storica del 2 giugno contigua alla Liberazione del 25 aprile.

Quest’anno, nel segno del Covid-19, inevitabilmente la cerimonia subisce notevoli limitazioni, prevedendo la visita in mattinata da parte del presidente della Repubblica all’Altare della patria, per poi recarsi a rendere il doveroso tributo alla città di Codogno, in luogo del tradizionale e mondano bagno di folla nei giardini del Quirinale.

Tra gli spazi vuoti di questo anomalo protocollo, l’attuale opposizione decide di inserire la sua manifestazione, prima cercando di ottenere l’autorizzazione di piazza nel rispetto delle distanze, muniti di italianissime mascherine; quindi ripiegando verso le cento piazze virtualmente riempite da iniziative simboliche, per dare voce “ai milioni di italiani dimenticati e traditi dal governo”, e lanciare l’appuntamento nazionale di luglio, quando il caldo torrido potrebbe alleviare ancor di più la morsa del virus.

Così questo 2 giugno diventa l’occasione per recuperare i rituali interrotti della speculazione politica e ricalibrarne gli equilibri, in vista di un autunno con il quale l’esecutivo in carica dovrà fare i conti, in ogni senso, dovendo cercare di dar corpo al tentativo di una complessa ripresa economica, alla luce di una sofferenza sociale per alcuni versi paragonabile giusto agli anni del secondo dopoguerra.

Eppure, agli italiani stremati da mesi terribili, dopo le bandiere sui balconi e gli inni nazionali dalle finestre quest’adunata patriottica dovrebbe suonare un po’ strana, non fosse altro perché convocata da chi si sente comunque erede di quel ventennio che proprio il voto del 1946, grazie alla partecipazione determinante delle donne, mise definitivamente in un angolo della storia in nome della Repubblica democratica, insieme a chi si sente erede, o almeno di certo proviene, da quel leghismo che non molti anni or sono faceva rima con secessionismo, e della bandiera italiana tricolore consigliava usi che tutti ben ricordiamo, o forse non più.

Ma una memoria labile è un pericolo costante.