Quella dell’educatore per l’inclusione scolastica è una professione particolare, che presenta non poche problematiche. Tanto per cominciare non hanno un profilo professionale chiaro e definito a livello nazionale: ogni regione va per sé, anche in termini di inquadramento. Questa mancata definizione del loro ruolo, a partire dal nome, porta spesso ad equivoci con il resto dei colleghi sulle mansioni da svolgere. “C’è chi ti chiede di fare tutta la didattica – spiega Giuditta, educatrice di una scuola per l’infanzia di Modena -, all’opposto c’è chi ritiene che il nostro compito si limiti a lavare e imboccare i bambini. Il nostro lavoro ha una parte importantissima di presa in cura fisica che non va sminuita, perché anche da lì passa la relazione con i bambini. Ma abbiamo anche un ruolo educativo che spesso viene trascurato e sottovalutato”.

Altro grosso problema della professione è il suo essere strettamente legata alla presenza dell’alunno in classe. “Solitamente il giorno in cui manca l’alunno che seguiamo, manca anche il lavoro: stiamo a casa e non siamo pagate. Io posso ritenermi una delle più fortunate: ho un contratto che mi copre tutti e 30 i giorni. Se il bambino non c’è do un supporto alla scuola”. Giuditta spiega di come questa fortuna vari da Comune a Comune.  “È stato possibile avere un contratto che mi copre tutti e 30 i giorni del mese grazie a specifici accordi sindacali fatti nel mio territorio”.

Infine, il problema più sostanziale delle educatrici per l’inclusione scolastica sono questi contratti che le tengono occupate da settembre a giugno ma che le lasciano scoperte nei mesi estivi, lasso di tempo nel quale non possono in alcun modo accedere alla disoccupazione perché formalmente contrattualizzate. Questo può rappresentare un vero problema se si considera che anche nei mesi di attività la loro retribuzione è comunque molto bassa. “Questo è un problema, vuol dire non vivere, non potersi sostenere, non poter sostenere la famiglia. Noi ci definiamo ‘precari a vita’. È un lavoro molto bello, ma molto precario. Diciamo che fai fatica a mantenerti con questo lavoro, che andrebbe valorizzato di più”, racconta Giuditta.

Lo scoppio del Coronavirus e l’emergenza sanitaria che ne è conseguita non hanno fatto altro che acuire queste problematiche, lasciando le operatrici con ammortizzatori sociali poco consistenti che le copriranno fino a inizio giugno, nel migliore dei casi. E impendendo loro di organizzarsi con lavori estivi quali babysitting o centri estivi la cui organizzazione è incerta a causa dell’emergenza che stiamo vivendo. “Sono a casa dal 24 febbraio e gli ammortizzatori sociali mi copriranno fino a inizio giugno. Ma arrivano al massimo 700 euro e in estate sarò scoperta”, spiega Gaia, educatrice di una scuola di Gorizia, in Friuli Venezia Giulia. “Cercherò di organizzarmi come posso, anche se il lavoro estivo, che già di per sé è meno intenso, probabilmente non impegnerà molte ore”. A questo si aggiunge il timore, per le operatrici, di non lavorare in sicurezza. “Non abbiamo i dispositivi per affrontare la cosa. Siamo spaventati. Vogliamo lavorare ma vogliamo farlo in sicurezza, la nostra e quella dei bambini. Sarebbe importante darci formazione online per prepararci adeguatamente”.

E a settembre cosa succederà? Anche questo è poco chiaro per una parte delle educatrici dell’inclusione. A fronte dell’annunciata riapertura di scuole medie e superiori, rimane ancora incerto il futuro delle scuole per l’infanzia. Si parla di turni, di didattica a distanza. Ma è impossibile non considerare che i bambini con cui le educatrici hanno a che fare presentano delle disabilità che non in tutti i casi consentono l’utilizzo di un computer e di apparecchiature per l’educazione e l’assistenza online. Dunque molti i dubbi e ancora poche le risposte per un problema che le operatrici dell’inclusione vivono da sempre e che questa emergenza non ha fatto altro che mettere in evidenza, sotto gli occhi di tutti.

“L’epidemia del Covid-19 non ha fatto altro che evidenziare la condizione degli educatori – fa notare Michele Vannini, segretario nazionale della Fp Cgil - professionisti molto qualificati, mediamente molto giovani, generalmente sottoposti a trattamenti che spesso rasentano lo sfruttamento”. Pagati troppo spesso a ore, quando i contratti prevedono una paga mensile, prosegue Vannini, “sballottati da una parte all’altra nell’affannoso tentativo di riempire il proprio monte ore e garantirsi uno stipendio minimo, quando non direttamente sottoposti al giogo del part-time involontario. Pur ricoprendo un ruolo delicatissimo vivono una condizione lavorativa fragile, vivono una condizione di precarietà nella precarietà assolutamente indegna di un paese civile”.

“Noi, dal canto nostro, siamo in campo con loro”. È questa la posizione del segretario nazionale e di tutta la categoria della Cgil. “Abbiamo ascoltato le loro testimonianze, compreso le problematiche. Lavoreremo insieme affinché le condizioni contrattuali di questi professionisti migliorino e diano maggiori garanzie. Il nostro impegno è su più fronti: quello della sicurezza, del salario, del profilo unico e del contratto. Vogliamo dare a questa fetta di lavoratori che offrono un servizio essenziale la giusta visibilità e maggiore forza alle loro battaglie, che ora sono anche le nostre”.