Il 9 maggio del 1978, 42 anni fa, l'Italia perdeva due figure simbolo della sua storia. Aldo Moro e Peppino Impastato, due vite, due morti che si sono intrecciate nello stesso giorno unendo il Nord e il Sud d’Italia, il centro e la periferia, la società politica e la società civile, il paese formale e quello reale. Quella mattina le Brigate Rosse fanno ritrovare il cadavere di Aldo Moro in via Caetani, all’interno di una Renault rossa. La tristemente nota immagine del ritrovamento del corpo è probabilmente la fotografia con il maggior numero di riproduzioni nel mondo. Solo qualche ora prima, a centinaia di 1.497 chilometri di distanza, perdeva la vita anche il giornalista siciliano Giuseppe Impastato, per tutti Peppino. Con Paolo Mieli, giornalista e saggista, già direttore de La Stampa e del Corriere della sera, oggi conduttore di Passato e presente ricordiamo insieme quella giornata, quel 9 maggio in cui fu spezzata la storia d’Italia, dal 2007 dedicato a a “tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice”.

Che ricordi ha di quel giorno?

Un colpo allo stomaco per la Repubblica italiana. Nei giorni del sequestro di Aldo Moro, Roma era una città blindata. Fui fermato anch’io per un controllo, ero di passaggio con la macchina, ma nessuno mi fece aprire il bagagliaio.

I cinquantacinque giorni del sequestro Moro terminano nel peggior modo possibile, ma forse era inevitabile. Qual è la sua opinione?

La scomparsa di Moro segnala la fine di un’epoca, anche se non direi, come fanno molti, che quel giorno finì la Prima Repubblica, come se quello che accadde dopo non contasse nulla. Tra la morte di Moro e la fine della Prima Repubblica, ossia il 1992-93, passarono quindici anni e furono anni molto articolati e ricchi. Il 9 maggio 1978 è certamente una data importante, ma la Prima Repubblica sopravvisse alla morte di Moro. Allora ci fu un momento di smarrimento della Repubblica, era come se i partiti non ritrovassero più la loro ragion d'essere e per un periodo si persero. Forse Moro morì anche per questo, perché non ci fu una capacità di regia nel trovare una trama, un percorso che avrebbe potuto portarlo a salvarsi. Paradossalmente fu lui a provare a farlo, spiegando, nelle sue lettere, come si sarebbe potuto liberarlo. Ma i partiti si persero.

Anche lei era per la linea della fermezza? Quarantadue anni dopo la pensa ancora come allora?

Il Pci che lo statista aveva provato a coinvolgere, per la prima volta nella storia della Repubblica, in un accordo di governo con la Democrazia cristiana, fu il sostenitore più intransigente della linea della fermezza nei giorni del rapimento. Tanto che Moro scrisse in una lettera ‘che il Pci lo ripagava uccidendolo’. Un’intera classe politica si era perduta allora, i capi politici della Dc, del Pci, del Pri, non furono capaci di far politica, rendendo scoperta una debolezza di sistema, simile a quella odierna.

Cosa non sappiamo ancora del "caso Moro’"secondo lei?

Io mi fido dei processi. Cinque sentenze passate in giudicato, alle quali bisogna aggiungere quattro commissioni parlamentari, stanno a significare che tutto quello che si poteva legittimamente sapere lo si è saputo. Certo, rimangono dei misteri, ma un conto è dire che ci sono ancora alcune zone d’ombra, altra cosa è affermare che dietro c’è un regista occulto. Questo non lo credo.

Solo qualche ora prima del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, a centinaia di chilometri, veniva ucciso anche Peppino Impastato, la voce irriverente di una Sicilia che si ribellava ai capi mafia e lo faceva cercando di scendere in campo nella società e nella politica. Oggi Impastato è diventato un altro simbolo italiano. All’epoca invece quale fu la percezione di quell’omicidio di mafia?

Il Sessantotto a Palermo è stato considerato marginale rispetto ad altre città, ma bisogna dire che questo è dipeso dal risalto che la stampa ha dato a quel che accadeva a Roma e a Milano. Peppino Impastato aveva messo a rumore la città in virtù di sue denunce molto precise e circostanziate della mafia locale. Fu fatto saltare per aria, nei giorni in cui fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro a Roma e questo ritrovamento, fece sì che sul delitto non ci fosse la dovuta enfasi nel mondo dei media. È grazie a una donna, sua madre Felicia Bartolotta e al suo coraggio e alla sua insistenza, se quel delitto negli anni fu conosciuto anche dal resto del paese e alla fine, grazie alla sua caparbietà, si arrivò anche all’identificazione dei colpevoli.

Con la Legge numero 56 del 2007, la giornata del 9 maggio è stata dedicata a "tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice". Se in una futuribile scatola del tempo potesse mettere solo una fotografia per rappresentare tutto questo, quale sceglierebbe?

Quella di Bologna dopo l’attentato alla stazione.

Uno sguardo sull’oggi. “Talvolta noi, ripeto, ci disistimiamo. Io ho quindi ragione di credere nel popolo italiano, un popolo che ha saputo superare situazioni ben più difficili di questa. E saprà superare anche questa situazione. Ed allora è al popolo italiano che io mi rivolgo in questo momento. E mi rivolgo esprimendo la mia ammirazione, la mia riconoscenza e l’augurio più fervido. Vedrete che ce la faremo, amici miei, ad uscire da questa situazione. Ce la faremo, state certi”. Diceva  Sandro Pertini il  31 dicembre 1979. L’Italia è risorta ed è sopravvissuta - anche a se stessa - tante, tantissime volte. Lo farà anche questa volta, ma come? Siamo cambiati secondo lei? In meglio?

I politici dovrebbero studiare il periodo precedente al boom economico, per poter creare le condizioni di una ripresa. Gli italiani saranno in grado di rinascere, se questa fase verrà vissuta nel modo giusto, con spirito di sacrificio ma anche di comunione di intenti. La ripresa dopo il boom fu possibile grazie al lavoro. Ora, con un tocco magico ma involontario, tutti speriamo di ritrovare quel clima e quelle passioni. È impensabile rivivere la stagione del boom, ma che torni una fase di ripresa possiamo sperarlo.