“Continuare a sviluppare l’economia senza tutelare il patrimonio ambientale come una risorsa insostituibile è un approccio che ha già dimostrato tutti i suoi limiti. Lo vediamo nelle decine di disastri ambientali che annualmente finiscono nella cronaca del nostro Paese, che, insieme ai cataclismi legati ai cambiamenti climatici, ci offrono ormai costantemente degli scenari post apocalittici, a cui noi non vogliamo abituarci. Per questo, riteniamo sia totalmente inadeguato legare la tutela dell’ambiente, della salute di lavoratori e cittadini e delle migliaia di posti di lavoro, relativi a pesca e turismo, a un compromesso a perdere con l’estrazione di idrocarburi nei nostri mari”. Lo dichiara la Flai nazionale in una nota.

“La pesca dell’Adriatico, che vanta oltre 7.000 addetti diretti, con un indotto che decuplica i numeri, da decenni ormai convive con la presenza in mare di stazioni di estrazione, che hanno un fortissimo impatto su ambiente e pesca commerciale, settore che da anni soffre una forte crisi occupazionale. Oltre alle limitazioni ai natanti nelle aree intorno alle piattaforme, si aggiunge la sterilizzazione delle acque, prodotta dai meccanismi di funzionamento delle trivellazioni, che rilasciano in mare acqua di quasi 5° centigradi inferiore, per di più contaminata, con una bassa percentuale di cloro, causando cosi una drastica diminuzione della riproduzione marina. Questa convivenza forzata è sempre stata correlata al ricatto energetico e occupazionale, che da decenni tiene in scacco il nostro Paese”, continua il sindacato.

“Inoltre, dobbiamo accettare una sfida internazionale che ci porti ad affermare con chiarezza che il mare è un bene comune globale e che i singoli Stati non possono pensare di lucrarci senza il rispetto delle scelte ambientali dei Paesi con cui quel mare lo condividono, evitando così che le politiche ambientali del nostro Paese vengano vanificate dalle scelte dei paesi vicini”, conclude il comunicato.