Tutti in piazza alla stessa ora (in Italia alle 14.00) in difesa della democrazia birmana. L’appuntamento è per giovedì 11 febbraio. L’iniziativa internazionale è stata lanciata da dieci sigle sindacali globali e, a Roma, si tradurrà in un presidio di Cgil, Cisl e Uil a piazza San Silvestro (vedi sotto). Il fuso orario della mobilitazione coincide con le otto di sera a Yangon, una delle città principali del Myanmar, ora in cui la popolazione civile nei giorni scorsi ha protestato contro i militari percuotendo ogni genere di oggetto.

Sono passati poco meno di dieci giorni dal colpo di Stato dei militari nel Myanmar. Un giorno prima della convocazione del Parlamento appena eletto, il Tatmadaw - l'esercito birmano - ha arrestato il presidente Win Myint, il consigliere di Stato e premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi e più di cento deputati eletti nelle fila della Lega nazionale della democrazia (Nld), assoluta vincitrice nelle elezioni del novembre 2020. Con l’accusa di brogli elettorali, i militari hanno proclamato lo stato di emergenza per un anno e hanno affidato i pieni poteri al generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate.

In una dichiarazione congiunta, le sigle, che rappresentano più di 200 milioni di lavoratori di tutto il mondo, chiedono ai sindacati nazionali di aumentare la pressione sui loro governi: “Esortiamo i sindacati e i lavoratori di tutto il mondo a organizzarsi, unirsi e stare dalla parte del popolo del Myanmar e isolare il comandante in capo, il generale Min Aung Hlaing, e altri leader militari responsabili del colpo di Stato”.

Siamo solidali con il popolo birmano – ha dichiarato Sharan Burrow, segretaria generale dell’Ituc-Csi - e rendiamo omaggio a quei coraggiosi lavoratori che agiscono per difendere la loro fragile democrazia e respingere il golpe militare. Il movimento sindacale globale si batterà per garantire il rilascio di tutte le persone detenute e porre fine alle violenze e alle vessazioni nei confronti del popolo. Gli autori del colpo di Stato devono essere smascherati e isolati”.

Nel Paese, a partire dal 2 febbraio e fino allo sciopero generale dell’8 febbraio scorso, migliaia di lavoratori hanno partecipato alle proteste contro il golpe fermando la produzione nelle ferrovie, nelle miniere, nell’azienda di idrocarburi nazionale e nella compagnia aerea di bandiera. Avvocati, insegnanti, dipendenti pubblici, operai dei cantieri: la partecipazione allo sciopero indetto dalla confederazione dei sindacati di Myanmar (Ctum) e dalla federazione dei sindacati dell'industria e dei servizi (Mics) è stata diffusa e trasversale.

Ora è il momento della solidarietà internazionale. A Roma Cgil, Cisl e Uil, con l’associazione Italia – Birmania Insieme, danno appuntamento in piazza San Silvestro alle 14. Nel rispetto delle norme Covid-19 sul distanziamento, dimostreranno la loro solidarietà al popolo e al sindacato birmano, che “nonostante i grandi rischi, si sta mobilitando quotidianamente per l’immediato ritorno alla democrazia”.

I sindacati italiani chiedono al governo italiano, alle istituzioni europee ed internazionali di “non riconoscere il governo militare insediato con un golpe e di riconoscere, invece, il parlamento democraticamente eletto e confermare il sostegno al governo democratico in carica”, di “chiedere la liberazione immediata di tutte le persone ingiustamente arrestate” e di “sostenere a livello europeo ed internazionale un quadro di sanzioni mirate contro gli interessi economici della giunta militare ed il blocco globale della esportazione di armi verso la Birmania”.

L’Ituc-Csi ricorda che “dopo i colpi di Stato del 1962 e del 1988, la giunta militare ha brutalmente schiacciato i movimenti democratici, ha imposto la legge marziale e gli arresti domiciliari ai leader dell'opposizione, ha rifiutato di cedere il potere a governi democraticamente eletti, ha vietato i sindacati e ha stabilito una roccaforte economica per estrarre ricchezza e risorse naturali nel paese”. Una storia lunga e che rischia di ripetersi, nonostante la “parentesi democratica” degli ultimi dieci anni, successiva al rilascio nel 2011 di Aung San Suu Kyi, che ha pose fine a quindici anni di arresti domiciliari, e all’insediamento di un governo civile nel 2015.