Tra le fondazioni lirico-sinfoniche, la Scala di Milano è tra quelle con i bilanci più in ordine, anche in virtù dell’autonomia concessa al teatro d’opera con il decreto Art Bonus, nel 2014. Ciò nonostante, anche il Piermarini sta soffrendo le gravi conseguenze del lockdown, tra riduzione dei posti, un cartellone in continuo aggiornamento e allestimenti in bilico. “Ma il vero nodo – dice Paolo Puglisi, segretario della Slc Cgil di Milano – sta nella necessità di ripensare i finanziamenti strutturali alla cultura. I costi fissi di un teatro sono altissimi: c’è il personale amministrativo, le maestranze, gli artisti. E poi i laboratori, quello di scenografia, la sartoria, il trucco e parrucco. Il Teatro Alla Scala è una macchina complessa, con 2.030 posti a sedere e circa un migliaio di persone che ci lavorano. Perché il sipario si alzi, c’è bisogno di un lavoro immenso.

Paolo Puglisi, qual è stato l'impatto del Coronavirus su un grande teatro come la Scala? Ci sono stati licenziamenti?

L'impatto è stato enorme. Il teatro è stato chiuso sin dal 23 febbraio, prima del blocco generalizzato, e dal primo marzo sono in fis circa seicento persone, tutti i tecnici, gli artisti e gli intermittenti. Gli impiegati amministrativi, circa duecento, sono invece in smart. Tutti i contratti con gli scritturati sono stati annullati e abbiamo concordato che sarebbero stati firmati nuovamente alla ripresa delle attività. Non c'è stato nessun licenziamento, ma i contratti in scadenza non sono stati rinnovati.

Un’eventuale ulteriore diminuzione degli spettatori che rischi comporterebbe?

Il rischio è che non si possa restare aperti. La Scala è una delle fondazioni lirico-sinfoniche finanziate con il Fondo unico dello spettacolo, che di anno in anno è stato diminuito. L’equilibrio finanziario del Teatro alla Scala, a differenza delle altre fondazioni, si regge per un terzo sui fondi pubblici (Fus, Comune e Regione), per un terzo sul sostegno dei privati e infine per un terzo sugli introiti della biglietteria. Il valore della produzione del Teatro alla Scala è di circa 150, 160 milioni di euro all'anno, quindi gli incassi di biglietteria (circa 38 milioni) sono necessari per coprire i costi, non solo quelli di produzione, ma anche i costi fissi. Già ora, con la deroga regionale che permette di arrivare a ottocento spettatori, non si arriva a coprire i costi: mancano ancora all’appello dai quindici ai venti milioni.

Molti titoli della nuova stagione sono già saltati. Sul piano artistico, si è cominciato a pensare a versioni "ridotte" delle opere.

Il programma del teatro è stato fa rifatto numerose volte. Adesso il sovrintendente ha scelto la strada di presentarlo ogni di tre e noi abbiamo condiviso. Tenerlo riservato ci evita di dover annullare di continuo pezzi della stagione. Si sta pensando a versioni ridotte delle opere, in forma di concerto. Questa è una possibile strada, anche se devo dire che le due opere già andate in scena in questa modalità non hanno riscosso grandissimo successo. Il pubblico è ancora molto spaventato. In questo momento stiamo lavorando in sintonia con la direzione del teatro e con le rsu delle maestranze, per aggiornare settimanalmente il protocollo di sicurezza, in confronto costante con l’Ospedale Sacco e il Politecnico. Ma se dovessimo arrivare a fare solo concerti sarà complicato: due terzi dei lavoratori dovranno stare in fis. Alla Scala c’è poi anche un problema di turn over. Come sindacato vorremmo ridiscutere la pianta organica, che conta quasi un migliaio di persone. La riorganizzazione e il ricambio generazionale devono passare però, secondo noi, dalla digitalizzazione. Le buste paga del teatro vengono ancora fatte a mano.

Gli artisti del Carlo Felice di Genova si sono ridotti i cachet per "salvare" la stagione del teatro lirico? Potrebbe toccare la stessa sorte a quelli del Piermarini?

Una riduzione del cachet, il sovrintendente l’ha già chiesta agli artisti.  L’ultimo cda è stato un po' interlocutorio, siamo in attesa di vedere quali saranno i nuovi dpcm. Lunedì 12 ottobre abbiamo un incontro e vediamo che succede. Quello che però ci piace immaginare, guardando al futuro, è che la Scala diventi un teatro aperto a tutti, non solo alla borghesia milanese o internazionale. Un posto dove l’opera diventi davvero popolare.