Non sono ricchi di famiglia, non sono figli d’arte, non sono instant star diventate popolari grazie a un talent televisivo. Sono gli studenti dei conservatori italiani, oltre 50 mila aspiranti musicisti, che già soltanto per entrarvi hanno dovuto superare una serie di prove difficilissime. Giovani di talento e pronti a grandi sacrifici, come quelli richiesti dallo studio, teorico e pratico, di uno strumento. Disciplina, abnegazione, esercizio quotidiano e metodo sono le qualità che devono possedere. Il talento, da solo, non basta. Non serve avere una faccia che “spacca”, una bella voce e un pugno di follower sui social. Non ci sono cartelloni colorati di incoraggiamento agli esami annuali.

Eppure, questi giovani che hanno scientemente deciso di fare musica nella vita, sono in bilico continuo tra precariato, incertezze e la promessa (ben poco allettante) di un futuro anonimato. In Italia, non esiste più un’arte sorella povera delle altre, perché sono tutte ormai figlie di un Dio minore che si chiama cultura. L’Alta formazione musicale, quella che porta alla carriera da orchestrale, da corista, da solista o da compositore, restava uno dei pochi percorsi verso la stabilità lavorativa nel mondo dell’arte, sia che si scegliesse la strada dell’insegnamento, sia che si optasse per quella del musicista. Ma ormai non è più così.

L’ultima riforma dei conservatori, quella che rende il sistema della formazione artistica parallelo a quello musicale, risale al 1999. Settantatré strutture, di cui cinquantacinque statali, alcune delle quali rischiano di scomparire. Nel frattempo, l’occupazione nel sistema dell’Alta formazione artistica continua a calare: secondo dati recenti di Alma Laurea, solo il 53% dei diplomati trova un impiego. Di questi, il 37% ne cerca uno diverso, più stabile e meglio retribuito, mentre la maggior parte resta ancorata al mondo dell’insegnamento, sempre più frequentemente con contratti precari.

Nonostante tutto, le iscrizioni agli istituti superiori di studi musicali sono aumentate, segno che i giovani, nonostante tutto, ci credono ancora. Il sistema Afam produce 14 mila diplomati l’anno, non solo nel campo della classica. Da tempo la contemporanea, il jazz e anche la musica elettronica entrano nel curriculum degli studenti. Giovani con il fuoco sacro e il dono della musica, dotati di determinazione ed entusiasmo, che rischiano, però, di venire annientati dal sistema italiano. Un sistema dove i talenti sprecati, purtroppo, sono più di quelli che ce la fanno.