Quest’anno, per la Festa della Musica da poco passata, c’è stato ben poco da festeggiare. Chiedere ancora ai musicisti prestazioni gratuite, in un momento in cui migliaia di lavoratori dello spettacolo vivono una situazione disastrosa, denota quanto meno una mancanza di sensibilità. Ma la crisi dovuta al Coronavirus non ha fatto altro che aggravare una situazione già compromessa.

Alla fine degli anni ‘70 uno studente come me, appena diplomato, aveva diverse possibilità: con facilità poteva accedere all’insegnamento nella scuola dell’obbligo e nei corsi di orientamento musicale legati alle bande, all’epoca finanziati dallo stato. C’era una diffusa attività concertistica e orchestrale in provincia, dove anche le stagioni cosiddette “minori” garantivano un compenso dignitoso. Ho assistito, negli anni, ad un impoverimento delle attività musicali, ad un continuo peggioramento delle condizioni di lavoro, ad una progressiva precarizzazione, con la conseguente perdita di dignità e prestigio sociale. Quando sono entrato in conservatorio, quasi la totalità del corpo docente era di ruolo. Oggi, il 50 % dei colleghi nel mio istituto ha incarichi a termine o addirittura ad ore, con l’utilizzo di strumenti contrattuali del tutto inadeguati. La maggior parte dei musicisti è costretta a “sbarcare il lunario” con lavori sottopagati o a suonare a “rimborso spese”. Persone pluridiplomate, con alle spalle corsi di specializzazione, concorsi, studi all’estero.

Molti giovani di fatto ricattati e spesso prestano la loro opera gratuitamente, nella speranza di accumulare punteggi e di costruirsi il curriculum. I pochi finanziamenti (provenienti da comuni e province) sono distribuiti ai soliti soggetti, spesso con criteri legati all’amicizia, all’affiliazione, all’organicità alla politica, secondo una “rigorosa” pratica dello scambio. Le stagioni concertistiche presentano sempre gli stessi pochi nomi e la carriera finisce per essere riservata a chi, magari già ricco di famiglia, può permettersi di investire sul proprio percorso.

Questa situazione potrà cambiare solo con un grande progetto che rifugga da una politica culturale focalizzata sui grandi eventi, favorisca la diffusione capillare delle attività musicali realizzate a partire dai conservatori, dalle scuole musicali e dai teatri, rivaluti la professionalità e la funzione sociale del musicista.

Occorrono nuove regole per la tutela del diritto degli autori e degli interpreti, perché la maggioranza dei musicisti riesce con fatica a veder riconosciuto il proprio. Occorrono nuove forme contrattuali che restituiscano dignità al lavoro del musicista. Il contributo della Cgil può essere molto importante: è il momento di ripensare a uno strumento sindacale che possa tutelare tutti i lavoratori dello spettacolo.

Malgrado questa triste situazione, è incredibile come molti giovani continuino a investire nel loro futuro con impegno e passione. Dopo la riforma dei conservatori, ai giovani musicisti è richiesto un percorso di studio molto impegnativo, dobbiamo loro risposte e maggiori opportunità. Meritano quella considerazione che non hanno avuto in questi mesi di pandemia, quando si è pensato prioritariamente a ciò che procura un profitto immediato, dimenticando scuola e università. Queste vivono tutt’ora una situazione di incertezza, mentre dovrebbero essere la priorità in una società che vuole garantirsi un futuro.