Il 16 giugno 1944 1.488 operai genovesi vengono deportati a Mauthausen. Lo sciopero è partito alle 10 del 1° giugno. A dare coraggio agli operai erano arrivate le notizie della liberazione di Roma e dello sbarco alleato in Normandia, ma il 16 giugno, verso le 14, ingenti forze nazifasciste con un’azione fulmine circondano e occupano quattro fabbriche: Siac, San Giorgio, Cantiere e Piaggio. Gli operai sono radunati nei piazzali, selezionati, caricati a centinaia su autobus e camion. Qualcuno cerca di fuggire, ma nessuna resistenza è possibile. Due giorni dopo la stampa cittadina pubblicherà un comunicato del comando tedesco: “L’operazione svoltasi ieri in seno agli stabilimenti Siac, San Giorgio, Cantiere Ansaldo e Piaggio, ha chiaramente dimostrato che le forze armate del Reich e le autorità italiane, sanno prendere anche energici provvedimenti per colpire sobillatori, scalmanati, scioperanti, sabotatori.” “Vi avevo messo sull’avvertita - aggiungerà il prefetto Basile - Non avete voluto ascoltarmi… Oggi più di uno di voi si pente amarissimamente di essersi lasciato sedurre ed illudere”.

“Venerdì 16 giugno 1944, seduti ad un tavolo del dopolavoro aziendale dello stabilimento San Giorgio di Sestri Ponente si finiva la solita partita a carte con i compagni di lavoro, dopo aver pranzato alla mensa” - racconta un testimone, Pierino Villa - Erano circa le 13 e 50 e si doveva rientrare in stabilimento dopo la sosta di mezzogiorno, timbrando il cartellino prima delle 13 e 55; perciò mi affrettavo a pagare alla cassa e ad uscire dal dopolavoro per ritornare al mio posto di lavoro. Fu allora che vidi molti militari tedeschi della Divisione Alpina intenti a circondare gli edifici dello stabilimento. Il piazzale era pieno delle maestranze; al centro vi erano tedeschi e fascisti. Tutte le uscite erano controllate. Ci fecero disporre su diverse file e cominciarono a selezionarci. A cinque per volta controllavano l’identità: chi era giovane e dall’aspetto sano veniva fatto andare da una parte del piazzale; chi era più anziano o con visibili deformazioni veniva fatto entrare nel  piano terra di un vicino reparto. Era evidente che i prescelti sarebbero serviti ai tedeschi per motivi a noi ignoti”.

“Il 16 giugno del ’44, arrivarono tedeschi - aggiunge Giovanni Agosti, figura storica del lavoro portuale a Genova, protagonista, suo malgrado, di quei giorni - ci radunarono e ci caricarono sui mezzi dell’Uite, l’Amt dell’epoca, e ci trasportarono alla stazione ferroviaria di Campi. Caricati sui vagoni iniziò il nostro calvario. Nessuno era riuscito ad avvertire i familiari, nessuno sapeva che cosa ci aspettava ma capivamo che si metteva male e che non avremmo rivisto i nostri cari per molto tempo, forse mai (“Ore 19 partenza - annota nel proprio diario Orlando Bianconi - lungo la linea numerose persone, tra cui donne e fanciulli piangenti, salutano noi e maledicono loro”). Abbiamo fatto tappa al confine, poi a Linz, in Austria, e infine a Mauthausen. Scesi dal treno, dopo un po’ di cammino abbiamo visto i tedeschi disarmare le Brigate Nere che li avevano aiutati nel rastrellare le fabbriche. “Cianzeivan comme di figgeu piccin”. Si vede che non si fidavano di loro. A Mauthausen li hanno messi da una parte, certo non potevano rinchiuderli con noi. Non so che fine hanno fatto. Noi siamo rimasti più di tre mesi a Mauthausen a lavorare duro, dodici ore, giorno e notte. Da mangiare ci davano una sbobba schifosa. Mi feci animo: se volevo sopravvivere, dovevo ingoiarla. Trascorsi tre mesi, hanno cominciato ad assegnarci ai nostri lavori di specializzazione. Smistati in diversi campi - io finii nei pressi di Linz - ogni mattina eravamo condotti in fabbrica”.

Condotti a Mauthausen gli operai vengono inghiottiti come schiavi moderni dall’industria bellica germanica. “Si facevano i turni - aggiunge Agosti - una settimana di notte e una di giorno, dieci ore a turno. Ricordo dei prigionieri spagnoli, gonfi in faccia per la fame. I tedeschi erano aguzzini”. “Il 16 giugno 1944 - scrive Paolo Arvati, sociologo, già direttore dell’Istituto Gramsci, tra i massimi esperti di statistica a livello nazionale, docente universitario e storico del sindacato, del movimento operaio e di Liberazione - non può essere compreso al di fuori della storia delle lotte operaie nella Resistenza genovese. Se una ragione della retata va ricercata nell’esigenza dell’occupante tedesco di disporre di manodopera da inviare in Germania, è ancora più forte la necessità politica dei nazifascisti di chiudere una volta per tutte la lunga e difficile partita aperta con i lavoratori genovesi sin dall’autunno del 1943.

Scriveva il 9 marzo 1944 il New York Times: “In fatto di dimostrazioni di massa non è avvenuto niente nell’Europa occupata che si possa paragonare con la rivolta degli operai italiani. È il punto culminante di una campagna di sabotaggio, di scioperi locali e di guerriglia che hanno avuto meno pubblicità del movimento di resistenza altrove perché Italia del Nord è stata tagliata fuori dal mondo esteriore. Ma è una prova impressionante, che gli italiani, disarmati come sono e sottoposti a una doppia schiavitù, combattono con coraggio e audacia quando hanno una causa per la quale combattere”. Una causa giusta e meritevole di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici. Si stima che gli italiani imprigionati a Mauthausen siano stati più di 6 mila. La maggior parte di loro era destinata ai terribili sottocampi di Gusen, ricordati come “il cimitero degli italiani”, per via dell’alto numero di nostri connazionali che vi persero la vita.

La liberazione del campo avverrà solo il 5 maggio 1945, data che viene celebrata ogni anno con una cerimonia internazionale, alla quale partecipano delegazioni provenienti da tutto il mondo. Il 16 maggio 1945 i deportati sopravvissuti, nonostante le barriere linguistiche, redigeranno il celebre Giuramento di Mauthausen: un documento che, per la promessa e l’impegno a favore della pace, dell’uguaglianza, della giustizia sociale e della solidarietà fra i popoli, è da molti considerato considerato uno degli atti fondativi dell’Unione Europea.