La situazione di fauna e flora, minacciate da inquinamento e specie aliene, è grave. Il 52 per cento dei fiumi e l’80 per cento dei laghi è in cattivo stato. Le temperature crescono più che in altre parti del mondo: siamo a +1,71° nel 2018 contro +0,98° globale. Buone notizie invece sul fronte delle aree protette, dei gas serra e degli inquinanti che sono in diminuzione e della produzione di energie rinnovabili, dove abbiamo superato l’obiettivo 2020 fissato dalla Ue. L’Annuario dei dati ambientali 2019, presentato di recente dall’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, offre un quadro aggiornato sullo stato di salute del nostro Paese che, come si dice in questi casi, è tra luci e ombre.

“Non è molto dissimile da quello dell’ambiente europeo, con punte di debolezza e qualche eccellenza - spiega Alessandro Bratti, direttore generale dell’Ispra -. Non c’è dubbio che la minaccia alla biodiversità è molto alta ed è allarmante quanto il cambiamento climatico. Ci sono alcuni indicatori che ci dicono che l’ambiente naturale rischia di degradarsi sempre di più, anche a causa dell’introduzione di specie cosiddette aliene: 200 in 17 anni, lo stesso numero totalizzato nei primi 80 anni del 1900. Un problema enorme, anche da un punto di vista economico. Pensiamo alla cimice asiatica e ai danni che questo insetto provoca ai frutteti”. A gravare sulla perdita di biodiversità c’è anche il consumo di suolo, un fenomeno che aveva mostrato segni di rallentamento causati dalla congiuntura economica, ma che dal 2018 ha ripreso a crescere: sono ormai persi 23.000 chilometri quadrati, con una velocità di trasformazione di quasi 2 metri quadri al secondo tra il 2017 e il 2018. Il  nostro territorio è fortemente esposto al dissesto idrogeologico; più di un milione e 200mila abitanti risiede in aree a rischio frane.

“La buona notizia arriva dalla diminuzione dei gas serra – prosegue Bratti -. Anche in presenza di una minima ripresa economica, le emissioni di CO2 hanno continuato a calare. Nel 1990 eravamo a 500 milioni di tonnellate, oggi ci attestiamo sui 400 milioni.  Questo vuol dire che c’è stato un efficientamento del sistema e che le percentuali di energia rinnovabile sul consumo sono significative. Un altro dato positivo è l’uso delle risorse:  abbiamo un tasso di utilizzo circolare di materia più elevato rispetto alla media europea, non abbiamo diminuito la produzione di rifiuti ma abbiamo incrementato il riciclo”.

È ancora preoccupante invece la situazione degli inquinanti atmosferici. Il Bacino padano è il malato d’Europa. Qui nel 2019 il limite giornaliero del PM10, il temuto e pericoloso particolato, è stato superato nel 21 per cento delle stazioni di monitoraggio. Siamo quindi ancora lontani dagli obiettivi fissati dall’Oms. Male anche sul fronte dei pesticidi: nelle acque superficiali il 24,4 per cento dei punti monitorati mostra concentrazioni superiori ai limiti, e il 6 per cento  nelle acque sotterranee. “Gli obiettivi fissati dalle strategie europee sulla biodiversità e sull’agricoltura sono sfidanti ma non irraggiungibili – conclude Bratti -. Oggi siamo di fronte a un bivio. Ci sono i traguardi, le risorse, i finanziamenti, i percorsi, e anche se siamo consapevoli delle spinte per ritornare al pre-Covid, l'impulso europeo è determinante. D’altra parte non abbiamo tante alternative. Siamo un continente povero di materie prime, che non ha fonti fossili: o efficientiamo il sistema e valorizziamo le risorse locali oppure diventiamo un continente senza speranza. Io sono convinto che un altro modello di sviluppo è possibile”.