KOSICE (SLOVACCHIA) - Due minivan pieni di militanza e un tir carico di generi alimentari e sanitari. Un’unica direzione: Sobrance, ultimo avamposto slovacco prima del confine con l’Ucraina. Insieme alla delegazione della Cgil partita da Roma, Bologna e Milano, maciniamo chilometri per portare un carico di 17 tonnellate di beni di prima necessità e consegnarli ai profughi costretti a fuggire dalle bombe di Putin.

Si viaggia sperando nel miraggio di non vedere quello che in questo mese abbiamo visto in tv. Di ascoltare testimonianze già impresse nella nostra memoria. Eravamo sul divano di casa, ora siamo qui con il naso sotto i Carpazi. Campi profughi, desolazione, paura. Il filo che ci porta a cinque chilometri dall’Ucraina è lungo e sottile. E carico di tensione man mano che attraversiamo Paesi e città.

A raccontarci questa escalation sono le delegazioni dei vari sindacati che incontriamo lungo la nostra strada. E che con noi hanno deciso di condividere un messaggio di pace. “È un grande segnale di solidarietà, sono molto felice che il sindacato e tanti iscritti siano così fortemente solidali con il popolo ucraino”, ci racconta il presidente del sindacato austriaco Ogb Wolfgang Katzian mentre ci invita nella sede di Vienna. “Mi auguro che ciò che sta accadendo cambi anche i termini del dibattito sui rifugiati e le loro condizioni. Sono davvero speranzoso che ciò possa spingerci a progredire in questa direzione”.

Con questa speranza ci dirigiamo a un’ottantina chilometri più a est, entriamo in Slovacchia e raggiungiamo la capitale Bratislava. Ospiti del sindacato Koz, ci intratteniamo col presidente Marian Magdosko che ci spiega l’emergenza vista dai suoi occhi. “Il confine tra Slovacchia e Ucraina è di soli 80 chilometri, è il più ridotto rispetto a quelli che dividono l’Ucraina dalla Polonia, dall’Ungheria o dalla Romania. Eppure all’inizio della guerra, durante i primi giorni, molte persone sono arrivate nel nostro Paese e la pressione al confine era così alta che alcuni dei rifugiati hanno dovuto aspettare tre giorni per entrare. È stato un momento molto difficile”. Ora il governo è intervenuto e la situazione sembra migliorata. Sono stati creati degli hotspot per registrare i rifugiati e l’ingresso risulta scorrevole. Resta però il grande afflusso di persone che fugge dall’Ucraina, il sindacato stima oltre 400 mila, per un Paese che supera di poco i cinque milioni di abitanti.

Ci lasciamo Bratislava alle spalle, di nuovo sul minivan per i 440 chilometri che ci separano da Kosice, seconda città della Slovacchia. Arriviamo con la luna già alta e un piatto di gulasch sotto i nostri occhi. Toccasana rigenerante per finire la giornata. E pensare già alla prossima. A questa mattina, in cammino verso il vicino campo profughi a consegnare gli aiuti. Consapevoli di non essere nel mezzo di un maledetto miraggio ma in una tragedia dai contorni ancora tutti da definire.