Enna è una provincia situata nel cuore della Sicilia, quasi al centro dell’Isola. La città capoluogo si arrampica su una dorsale montuosa che si affaccia sulla valle del Dittaino. In quella valle una decina di anni fa, nella zona industriale, è stata realizzata la prima centrale a biomasse siciliana: produzione di energia attraverso la combustione di residui boschivi. Una bella storia si dirà, energie rinnovabili, pulizia dei boschi e lavoro dignitoso. Sì, perché a detta del segretario generale della Flai Cgil del territorio, Antonio Malaguernera, “la Biomasse Srl era un'azienda modello, contratto regolare, salari alti, versamento di contributi e tasse sempre puntuali, buone relazioni sindacali, tant’è vero che eravamo riusciti anche ad approvare un buon contratto integrativo”. E negli anni l’azienda si è ampliata, dando lavoro fino a 50 dipendenti, facendoli crescere professionalmente, con i corsi di formazione periodici e quelli specifici sulla sicurezza.

“Tutto questo in Sicilia è davvero raro”, dice ancora il dirigente sindacale, “per questo quel che è successo negli ultimi due anni fa ancora più rabbia”. Ma per capire cosa è successo nel 2018 occorre fare un passo indietro. Quando l’azienda cominciò ad operare aveva classificato gli operai che raccoglievano la legna come addetti al terziario, l’Inps la chiamò e corresse dicendo che quegli uomini svolgevano attività agricole. Ed in effetti andavano – occorre usare un tempo passato perché al momento sono fermi – nei boschi a tagliare e raccogliere legna e sterpaglie. Lavoratori stagionali in gran parte, occupati per 150/180 giorni l’anno, e che nel tempo hanno, quindi, usufruito della cassa integrazione agricola. Tutto bene fino al 2018. L’Istituto nazionale di previdenza decide di fare un’ispezione, contesta all’Azienda l’inquadramento di quei lavoratori come agricoli e decide di estendere la contestazione retroattivamente per i 5 anni possibili. Risultato: i lavoratori si sono ritrovati senza i contributi versati e con la richiesta di restituzione all’Istituto di quanto ricevuto come cassa integrazione, assegni familiari ed eventuali periodi di malattia. Si va dai 20mila ai 40mila euro a dipendente. Non solo, ma un operaio che aveva maturato i requisiti per andare in pensione nel 2018 e aveva presentato la domanda, se l’è vista rifiutare perché a seguito della decisione dell’Inps di non riconoscere quello come lavoro agricolo non aveva più i requisiti, mancando gli ultimi 5 anni di contribuzione previdenziale. “Una situazione davvero paradossale – afferma Malaguernera –, fu l’Inps a dire all’Azienda di registrare quei lavoratori come agricoli ed è stato poi sempre l’Inps a dire che invece erano del commercio. In questi due anni abbiamo più volte scritto all’Istituto, abbiamo inoltrato ricorsi in sede amministrativa e i lavoratori hanno ricorso singolarmente in autotutela. Nessuno ha mai ricevuto risposta. Ora non ci resta che chiamare in giudizio in sede penale l’Istituto”.

Non solo ma sembra che tra la sede nazionale dell’Inps e quella di Enna vi sia anche un difetto di comunicazione. Il 26 giugno del 2019 da Roma parte una circolare interna, la n. 94, con la quale si chiarisce che i lavoratori che svolgono attività agricole per imprese non agricole – appunto il caso della Biomasse Srl di Dittaino – devono essere registrati come agricoli, ma a Enna sembrano non essersene accorti o forse la posta interna non funziona bene.

Solo da qualche giorno il sindacato è riuscito a far trasferire i contributi versati nel fondo per l‘agricoltura in quello per il commercio e quindi ci auguriamo che il lavoratore che avrebbe potuto andare in pensione nel 2018 trovi sotto l’albero di Natale l’accettazione della sua domanda di messa in quiescenza. Resta il fatto che in questi due anni una cinquantina di operai sono rimasti quasi fermi, l’azienda - che in contenzioso con l’Inps non può assumere – per due volte li ha reclutati attraverso una agenzia interinale, ma come si sa contratti a tempo determinato possono essere reiterati solo due volte.  Professionalità altamente specializzate che rischiano di essere sprecate, famiglie che non ricevono più un reddito, un’azienda modello che produceva ricchezza per il territorio, praticamente fermata, a voler essere generosi, da un malinteso burocratico. “A noi rimane tanta amarezza e rabbia, – conclude ancora il segretario della Flai – in una terra affamata di lavoro buono come la nostra, lo Stato, perché l’Inps è lo Stato, pasticcia in questo modo. Noi, però, non ci fermiamo e andremo fino in fondo per difendere i lavoratori e cercare di dar loro un nuovo futuro nella Biomasse”.